23 ottobre 2020 14:33

Jaime Harrison ha scoperto la politica guardando il telegiornale della sera con il nonno, in un appartamento in affitto nella contea di Orangeburg, in South Carolina, la zona povera dove è cresciuto. “È cominciato tutto lì. Lo tempestavo di domande sul presidente”, ricorda Harrison, candidato democratico per un seggio al senato, al termine di una giornata di eventi elettorali a distanza.

La madre è rimasta incinta di Harrison a sedici anni e non aveva un compagno, così il bambino è stato cresciuto dai nonni. Ha vinto una borsa di studio dall’università di Yale, e dopo la laurea in legge ha lavorato al congresso per il suo mentore, Jim Clyburn, il primo parlamentare nero eletto in South Carolina dalla fine dell’ottocento.

Tuttavia, l’approccio realistico di Harrison alla politica, basato sulla ricerca del compromesso, è frutto soprattutto delle strade di terra rossa tipiche dei luoghi in cui è cresciuto e dei racconti dei nonni: la paura di essere presi di mira dal Ku klux klan e le lunghe camminate per arrivare a scuola. “Ho ereditato pragmatismo da loro”, ammette Harrison. “So che non otterrò tutto quello che voglio. Ma ogni risultato positivo è un passo avanti”.

Battaglia serrata
Una visione agli antipodi rispetto a quella della sinistra attivista che fino a qualche tempo fa sembrava aver assunto il controllo del Partito democratico. Harrison è contrario a molte delle proposte considerate essenziali da tanti democratici, come l’assistenza sanitaria universale, l’aumento del numero di giudici della corte suprema e una legge che metta fine all’ostruzionismo al senato. Eppure oggi Harrison è il simbolo del Partito democratico più di quanto lo sia Alexandria Ocasio-Cortez, la deputata radicale eletta a New York.

Harrison ha 44 anni ed è alla prima candidatura. Negli ultimi tre mesi ha raccolto circa sessanta milioni di dollari in donazioni per la campagna elettorale – una somma senza precedenti per una campagna del genere – e ha trasformato una candidatura inizialmente senza speranza contro il senatore repubblicano Lindsey Graham in una battaglia serrata.

Gli elettori neri tendono a votare per il candidato che considerano più empatico e capace di convincere un numero sufficiente di elettori bianchi

Secondo gli ultimi sondaggi, i due candidati sono testa a testa. Se Harrison dovesse vincere – un esito improbabile, ma comunque possibile – sarebbe un risultato clamoroso, secondo per importanza solo a quello delle presidenziali.

Esiste un’interessante simmetria tra Harrison e Joe Biden. Dopo che a marzo i neri del South Carolina hanno resuscitato la candidatura di Joe Biden (è stato decisivo l’endorsement di Clyburn alla vigilia delle primarie nello stato), la comunità afroamericana è diventata un pilastro della campagna elettorale del candidato democratico. Gli elettori neri, dovunque ma soprattutto nel sud, tendono a votare per il candidato che considerano più empatico e che ha più possibilità di convincere un numero sufficiente di elettori bianchi. Questo approccio sembra aver trascinato la candidatura di Biden.

Dopo aver vinto in South Carolina, il candidato ha conquistato quasi metà dei voti totali alle primarie successive. Se Obama è stato il primo presidente nero della storia degli Stati Uniti, Biden può essere considerato il primo candidato presidenziale espressamente scelto dagli elettori afroamericani. Il successo di Harrison, un volto nuovo della politica, ma vicino alle idee di Biden, è un altro segno che questo approccio funziona.

Un rispetto all’antica
Come l’ex vicepresidente, anche Harrison mette l’unità del partito davanti alla partigianeria e le soluzioni pratiche davanti alle grande idee radicali, mostrando rispetto all’antica per le istituzioni. Ha lanciato i suoi primi spot elettorali più di un anno fa, concentrandosi soprattutto sulla sua storia personale. “In generale la gente è stanca del caos e delle divisioni”, dice.

Le sue proposte, poco controverse, ricalcano il suo approccio politico: dall’arrivo della banda larga nelle aree rurali all’estensione dell’esistenza sanitaria pubblica per un numero maggiore di americani poveri. Entrambe le iniziative sono sostenute dalla maggioranza della popolazione del South Carolina.

Il pragmatismo di Biden è basato su un calcolo che per ora sembra sensato: per ottenere un grande sostegno popolare, è più utile compattare il paese contro Trump che rivolgersi esclusivamente agli elettori di sinistra. Harrison non aveva alternative a questa moderazione. Negli ultimi vent’anni, infatti, il South Carolina non ha mai eletto un senatore democratico. Questo perché nello stato gli afroamericani e i bianchi moderati sono in minoranza. Le speranze elettorali di Harrison, di conseguenza, sono legate alla possibilità di convincere un numero sufficiente di elettori che sostengono Trump ma non sopportano più Graham.

L’obiettivo non è irraggiungibile, perché in South Carolina Graham è meno popolare del presidente. Fino a qualche anno fa il senatore ha avuto posizioni moderate. Ma di recente ha sposato tutte le proposte più estreme di Trump. Se un tempo era favorevole alla riforma dell’immigrazione, oggi si abbandona a tirate razziste aggredendo i democratici e adulando un presidente che in passato aveva definito un “fanatico ottuso, razzista e xenofobo”. Un’evoluzione sconfortante per un politico che in precedenza era ammirato e rispettato. Secondo alcuni sondaggi, gli abitanti del South Carolina lo considerano ormai un politico disonesto.

Molti pensano che in caso di vittoria di Biden il Partito democratico potrebbe spaccarsi. Ma l’ascesa di Harrison e di altri democratici che stanno guadagnando terreno in stati conservatori – come il Montana e l’Arizona – suggerisce che il dinamismo attuale non andrebbe sottovalutato. Un trionfo dei democratici potrebbe portare al congresso molti politici simili a Harrison, e la corrente più moderata diventerebbe decisiva per l’approvazione di una serie di leggi.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questo articolo è uscito sul settimanale britannico The Economist.

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