29 settembre 2021 15:34

Sedici anni trascorsi nelle prigioni di Hafez al Assad e quelli successivi costantemente sorvegliato dalla polizia non hanno scalfito lo spirito rivoluzionario e il profondo attaccamento di Yassin al Haj Saleh alla sua terra, la Siria. Ha dovuto sopportare anche il sequestro e la sparizione di sua moglie, Samira Khalil, attivista per i diritti umani, incarcerata dal 1987 al 1991 e poi scomparsa a Duma il 9 dicembre 2013. Con lucidità e profonda conoscenza della società siriana, il giornalista, scrittore e dissidente politico ora in esilio a Istanbul racconta la prigionia, la guerra civile – che quest’anno compie dieci anni – e l’islam contemporaneo.

Secondo Al Haj Saleh limitarsi a guardare oggi alla realtà siriana, dopo il fallimento della rivoluzione del 2011 e la diaspora di milioni di suoi concittadini, significherebbe cadere in preda a una disperazione paralizzante. Ma spostando la visuale diventa possibile pensare, immaginare e agire diversamente. Questo non vuol dire ignorare una realtà dura, ma impegnarsi per mantenere viva la speranza. Sogna un mondo libero ed empatico, guidato da nuovi valori e istituzioni, a partire dal principio di responsabilità globale, secondo il quale nessuno è troppo lontano per essere vicino.

Yassin al Haj Saleh sarà al festival di Internazionale a Ferrara il 3 ottobre intervistato da Francesca Gnetti.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it