18 febbraio 2022 12:22

Circa 16 milioni di anni fa un vulcano che si trovava a cavallo di quello che oggi è il confine tra Oregon e Nevada eruttò formando la caldera di McDermitt. L’attività vulcanica spinse delle rocce ricche di litio in prossimità della superficie, creando il più vasto deposito conosciuto di litio degli Stati Uniti. Oggi quello stesso terreno intorno alle montagne del Montana è tappezzato di artemisia ed è più facile sentire i coyote che le persone. Ma tutto questo potrebbe presto cambiare. Lithium Americas, un’azienda canadese, ha in progetto di costruire una miniera e un impianto di lavorazione a Thacker Pass, vicino all’estremità meridionale della caldera in Nevada. Sarebbe la più grande miniera di litio dell’America.

Allevatori e agricoltori nella vicina Orovada, un paese di 120 abitanti, temono che la miniera possa minacciare la qualità della loro acqua e della loro aria. Le tribù native americane nella regione affermano di non essere state adeguatamente consultate prima che il Bureau of land management (un’agenzia che contribuisce alla gestione delle vaste terre pubbliche statunitensi) decidesse di autorizzare il progetto. Le tribù sostengono anche che a Thacker Pass nel 1865 si sia compiuto un massacro dei loro antenati. Michon Eben, un’attivista per la conservazione del patrimonio storico della colonia indiana di Reno-Sparks, sostiene che distruggere il luogo del massacro sarebbe come profanare un luogo sacro. Gli ambientalisti sono allarmati per la protezione dell’habitat del gallo della salvia, a rischio di estinzione, e delle rotte migratorie degli animali selvatici. I manifestanti che si sono accampati sul luogo considerano la miniera un simbolo dei mali dello sviluppo.

La battaglia per Thacker Pass non è un’anomalia. Il presidente Joe Biden vuole che entro il 2030 la metà di tutte le auto vendute siano elettriche, e intende raggiungere un livello di emissioni nette pari a zero entro il 2050. Questi ambiziosi obiettivi climatici implicano che per le comunità in zone ricche di minerali sono in arrivo nuove battaglie su dove e come scavare. Gli Stati Uniti hanno bisogno, tra le altre cose, di litio, cobalto e rame, che sono usati nelle batterie e in altre tecnologie legate alle energie pulite. Come con i precedenti boom delle materie prime, i grandi giacimenti di questi materiali si trovano negli stati occidentali statunitensi.

La corsa al litio
Ovviamente, gli Stati Uniti non sono gli unici in corsa per garantirsi l’accesso a tali materiali. Sempre più paesi si stanno impegnando a eliminare le emissioni di anidride carbonica, e la domanda globale per alcuni minerali essenziali è destinata a esplodere. La International energy agency, che si occupa di previsioni, stima che entro il 2040 la domanda di litio potrebbe crescere di oltre 40 volte rispetto al 2020. Nello stesso periodo la domanda di cobalto e nichel potrebbe crescere di 20 volte.

Alcuni ambientalisti sostengono che bisognerebbe prendere con cautela le proiezioni per la domanda di litio, perché si stanno sviluppando nuovi tipi di batterie e accumulatori, e le tecnologie di riciclo dei materiali si vanno perfezionando.

La transizione verde ha anche trasformato la ricerca di materiali essenziali in una competizione tra grandi potenze

Questo potrebbe essere vero nel lungo termine. Ma Venkat Srinivasan, a capo del Collaborative centre for energy storage science presso l’Argonne national laboratory, vicino a Chicago, afferma che il litio sarà difficile da battere, per due motivi. Innanzitutto perché ci vogliono circa dieci anni per sviluppare nuove tecnologie e produrle su larga scala; e poi a causa della serrata tabella di marcia stabilita dall’amministrazione Biden per i veicoli elettrici.

Al di là dei loro obiettivi verdi, gli Stati Uniti sono anche intenzionati a diversificare l’approvvigionamento di minerali riducendo quello dalla Cina, che grazie alla sua abbondanza naturale e alla sua politica industriale muscolare, è diventata un colosso delle materie prime. Il desiderio dell’amministrazione Biden di riportare in patria le catene di approvvigionamento potrebbe sembrare una ritirata trumpiana dalla globalizzazione. Ma la pandemia di covid-19 ha rivelato i punti critici delle reti globali, spaventando politici e imprese. La transizione verde ha anche trasformato la ricerca di materiali essenziali in una competizione tra grandi potenze non dissimile dalla ricerca dell’oro o del petrolio in epoche passate. Secondo il dipartimento dell’Energia, l’estrazione di litio non è solo un mezzo per combattere il cambiamento climatico, ma anche una questione di sicurezza nazionale.

Di nuovo a ovest
La gente dell’ovest ha già visto tutto questo in passato, ed è diffidente nei confronti delle nuove miniere per due motivi. Innanzitutto perché il General mining act, la legge sulle miniere approvata dal congresso nel 1872 nello spirito del “destino manifesto”, concede ai cercatori il diritto di estrarre sulle terre di proprietà del governo federale. Ancora oggi questa legge permette alle aziende minerarie di estrarre minerali senza pagare alcuna royalty. Solo negli anni sessanta e settanta i legislatori hanno stabilito alcuni standard ambientali per l’estrazione mineraria su terre pubbliche. Il giurista Charles Wilkinson ha definito la legge del 1872 uno dei “signori del passato”, un gruppo di leggi che hanno dettato l’impostazione dell’uso della terra nell’ovest per oltre un secolo.

La storia economica dell’ovest degli Stati Uniti è fatta di espansioni e crolli. Quando finiva la bolla di una materia prima, le città del boom finivano abbandonate. Il lascito di quei crolli ancora affligge la regione. Nel 2020 il Government accountability office (l’ufficio di responsabilità contabile del governo) ha stimato che potrebbero esserci almeno 530mila opere minerarie abbandonate, come tunnel o cumuli di prodotti di scarto, su terre federali. Almeno 89mila di queste potrebbero rappresentare un rischio ambientale o di sicurezza. La maggior parte delle miniere statunitensi abbandonate si trova in 13 stati a ovest del fiume Mississippi.

Oggi le aziende minerarie devono studiare quale impatto avranno le loro attività sull’ambiente e ripulire dove sporcano. “So che ci sono timori per le miniere abbandonate. Ma si consideri quando quelle miniere sono state aperte ed effettivamente funzionanti. Parliamo di 50 0 cento anni fa”, afferma Jonathan Evans, il numero uno della Lithium Americas. Adesso le aziende devono lavorare diversamente, spiega. Gli abitanti di Orovada sono meno ottimisti. “Non siamo ancora convinti che la miniera sia nel nostro interesse”, dice Gina Amato, una contadina del posto. “Ci sembra proprio di essere l’agnello sacrificale per il bene supremo”.

Chi possiede i terreni
Inoltre, il dibattito riguardo nuove miniere su terre pubbliche alimenta un antico motivo di risentimento tra alcuni abitanti dell’ovest, per il fatto che una gran parte delle terre nei loro stati è di proprietà del governo federale. Le agenzie federali sono infatti proprietarie di circa l’80 per cento del Nevada, del 65 per cento dello Utah e del 46 per cento della California. È una storia simile in tutta la regione. E alcuni vorrebbero cambiarla. Il governatore repubblicano dello Utah si è espresso a favore di un maggior controllo locale sulle terre pubbliche.

La transizione verde non è l’unico cambiamento economico in atto. Negli ultimi decenni le cittadine che dipendevano dalle attività estrattive per alimentare le loro economie sono andate invece verso le attività ricreative all’aria aperta. Le piccole cittadine negli stati delle Montagne Rocciose hanno avuto un boom, in parte perché sono vicine a luoghi incontaminati. Questo ha avuto delle ricadute, come gli alti prezzi immobiliari e i parchi nazionali sovraffollati. Eppure, per alcuni nell’ovest mettere sul mercato le montagne, i canyon e perfino i cieli stellati, è sembrato un modo per lasciarsi alle spalle l’estrazione mineraria.

Ma alcune di queste cittadine sorgono su quei materiali necessari per la rivoluzione dell’energia pulita. Moab, nello Utah, oggi è una mecca per escursionisti e amanti dell’adrenalina da fuoristrada. Ma il deserto di arenaria rossa dello Utah ospita anche enormi giacimenti di uranio, di cui gli Stati Uniti potrebbero aver bisogno se riusciranno a dare nuova linfa all’energia atomica. Rilanciare l’uranio sarebbe considerato un sacrilegio dai turisti che vi accorrono e dagli abitanti del posto che hanno visto il dipartimento per l’energia impegnato per oltre dieci anni a bonificare le scorie radioattive.

L’arte del compromesso
È possibile assicurarsi i minerali essenziali in modo da evitare gli errori dei precedenti boom minerari? Negli Stati Uniti i dibattiti su come usare le terre pubbliche, e per stabilire a chi appartengono, sono notoriamente turbolenti. Ambientalisti, nazioni tribali, governi locali, aziende energetiche e allevatori, tra gli altri, tutti se ne sentono in qualche modo titolari. Un’armonia totale è improbabile. Ma ci sono dei modi per mitigare le ostilità.

A cominciare dalle preoccupazioni per l’ambiente. L’estrazione mineraria è un affare sporco, ma sviluppo e tutela possono coesistere. Nel 2020 l’università di Stanford ha contribuito a mediare un accordo nazionale tra l’industria idroelettrica e i gruppi ambientalisti per aumentare la sicurezza e l’efficienza delle dighe esistenti, rimuovendo al contempo quelle dighe che causano danni all’ambiente. A ispirare l’accordo è stato un progetto simile che nel 2004 aveva consentito la riparazione di alcune dighe sul fiume Penobscot nel Maine e l’abbattimento di altre che impedivano ai pesci di migrare. Dan Reicher, ex sottosegretario all’energia, oggi a Stanford, sostiene che quello di Penobscot sia un modello utile per coniugare i bisogni energetici con la protezione dell’ambiente.

In molti temono che approvare nuove opere sulle terre sacre delle tribù di nativi sarebbe l’ennesimo esempio di sfruttamento statale dei popoli indigeni: la Msci, un’azienda di consulenze, calcola che negli Stati Uniti il 97 per cento delle riserve di nichel, l’89 per cento del rame, il 79 per cento del litio e il 68 per cento del cobalto si trovino nel raggio di circa settanta chilometri dalle riserve dei nativi americani.

In teoria il Bureau of land management dovrebbe consultare le tribù riguardo le politiche che potrebbero avere un impatto su di loro. Ma Michon Eben sostiene che il processo di consultazione sia difettoso. Spesso consiste nell’inviare alle tribù una lettera in cui si notifica la proposta di una miniera o di una trivellazione. “Negli ultimi cinque, dieci anni il concetto di collaborazione nei negoziati tra governi è molto cambiato”, osserva Geoffrey Smith, un archeologo dell’università di Nevada-Reno. “Oggi, una o due lettere non sono più sufficienti”. Molti popoli nativi nell’ovest erano nomadi prima di essere costretti a stare nelle riserve, il che significa che quelli che hanno legami con uno specifico territorio potrebbero essere più numerosi di quelli tradizionalmente interpellati dal Bureau. Rivedere il processo di consultazione coinvolgendo in anticipo più tribù potrebbe contribuire a evitare o risolvere conflitti.

Anche le comunità dove si vorrebbe scavare le nuove miniere vogliono una voce in capitolo. Le trattative di Orovada con la Lithium Americas offrono un esempio per altre realtà locali. La signora Amato insieme ad altri è alla guida di un gruppo che s’incontra regolarmente con l’azienda. Alcuni del gruppo non si fidano troppo, ma altri sono ottimisti per i 300 posti di lavoro che porterà la miniera. Ci sono anche altri lati vantaggiosi nella collaborazione. La Lithium Americas si è offerta di costruire una nuova scuola, più distante dalla strada che l’azienda userà per trasportare lo zolfo. Seduta nel suo furgone fuori da un distributore di benzina che funge anche da bar per la gente di Orovada, la signora Amato ricorda la risposta data all’offerta da una persona del gruppo: “Se mi toccherà prendere un calcio nel sedere, dato che la miniera si farà in ogni caso, tanto vale prendersi un calcio nel sedere e una scuola nuova di zecca”.

(Traduzione di Francesco De Lellis)

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Questo articolo è uscito sul settimanale britannico The Economist.

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