12 ottobre 2015 11:32
A Gerusalemme Est, nel quartiere di Jabal Mukaber, una donna cammina tra le rovine di una casa, il 6 ottobre 2015, demolita dalle forze di sicurezza israeliana. La casa apparteneva a uno dei due palestinesi responsabili dell’omicidio di quattro rabbini e di un poliziotto avvenuto nel novembre 2014. (Thomas Coex, Afp)

Salma, cinque anni, ha chiesto alla zia di portare alla sua festa di compleanno una grande torta decorata con l’immagine di lei insieme al padre. I bambini e le loro madri si sono avvicinati per assistere al taglio della torta. Con l’aiuto della zia, Salma ha preso un coltello grande quasi quanto una spada e ha cominciato a tagliare. Prima la faccia del padre, poi la sua.

Dieci mesi fa il padre e suo cugino, che vivono nel quartiere Jabal al Mukkabar, a Gerusalemme Est, hanno attaccato alcuni fedeli in una sinagoga, uccidendo quattro persone. Tra le armi usate c’era un coltello, grande quasi quanto una spada. I due sono morti nel successivo scontro con la polizia (insieme a un agente). Com’era prevedibile, l’omicidio non ha cambiato la politica discriminatoria adottata dagli israeliani nei confronti dei palestinesi che vivono a Gerusalemme. Inconsciamente Salma ha espresso la rabbia silenziosa e nascosta di un’intera famiglia nei confronti dei due uomini che l’hanno esposta alla miseria, alla vergogna e alla vendetta di Israele. La casa del cugino è stata “sigillata” un paio di mesi fa: due enormi camion l’hanno riempita di cemento liquido che ha sepolto tutto quello che c’era dentro. Ora la casa, inutilizzabile, è a prova di terremoto.

Cinque giorni dopo il compleanno di Salma, la sua casa è stata distrutta su ordine del premier israeliano Benjamin Netanyahu. Sono state demolite anche le case del nonno di Salma, di due zii e dei vicini. Altra rabbia in cerca di un nuovo indirizzo.

Traduzione di Andrea Sparacino

Questa rubrica è stata pubblicata il 9 ottobre 2015 a pagina 29 di Internazionale, con il titolo “Rabbia in cerca di indirizzo”. Compra questo numero| Abbonati

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