03 aprile 2017 19:00

Il giudice del tribunale di Gerusalemme era un po’ disorientato davanti all’accusato. “Come ha fatto a superare il muro?”, ha chiesto. L’avvocato ha risposto: “Si è arrampicato su una scala e poi si è calato dall’altra parte con una corda”. Prima aveva pagato 50 shekel al proprietario della scala. “Dev’essere un atleta”, ha commentato il giudice, con un tono quasi affettuoso. Stiamo parlando di Khaled, 60 anni, fratello di una mia amica. Lavora in Israele senza permesso da 25 anni. In tutto questo tempo ha dormito in posti segreti e trascorso settimane senza tornare nel suo villaggio nel nord della Cisgiordania. È stato fermato più volte in passato, ma mai arrestato. La polizia lo riaccompagnava a un checkpoint dicendogli di non rientrare senza permesso, pur sapendo che lo avrebbe fatto.

Due anni fa è stato arrestato per la prima volta a Tel Aviv. Ho mandato un amico per pagare la cauzione. Due settimane fa la voce preoccupata di sua sorella mi ha comunicato che lo avevano arrestato di nuovo. Questa volta, mi ha spiegato, volevano tenerlo in prigione per due mesi. Come farà a sopravvivere in carcere? Quando aveva 19 anni è stato condannato a sette anni di prigione per la sua attività nel Fronte popolare e per aver messo dei falsi esplosivi nella casa di un sospetto collaboratore di Israele. Ma non ha più vent’anni.

L’avvocato mi ha chiesto di presentarmi insieme a un altro “buon israeliano” per firmare la cauzione e garantire che Khaled si sarebbe ripresentato al processo. Le due procuratrici della polizia, che potrebbero essere nipotine di Khaled, hanno chiesto che restasse in carcere in quanto pericoloso. Il giudice, ex agente dei servizi segreti, le ha ignorate con disprezzo. Così dopo una lunga giornata ho riportato Khaled a Nablus, in Cisgiordania. Durante il viaggio i suoi colleghi, tutti lavoratori senza permesso, lo hanno chiamato per salutarlo. Nella sua voce ho percepito la nostalgia.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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