16 aprile 2018 17:11

“Dovrei intervistare i tuoi genitori”, ho detto a S, un amico che negli ultimi vent’anni ha vissuto lontano da Israele. Eravamo nella sua casa di Londra. Lui stava preparando da mangiare, mentre la moglie N preparava la tavola. Gli ho chiesto come stanno i loro genitori, che vivono in Galilea e ad Haifa. Il padre di N ha la demenza senile, sua madre problemi ai polmoni. I genitori di S stanno bene, ma sono anziani. Se voglio conoscere le loro storie, devo sbrigarmi.

“Mio padre non ama parlare delle sue esperienze con persone che non fanno parte della famiglia”, mi ha detto S che, orgoglioso della sua cucina, mi ha chiesto: “Ti piace il pesce con le patate?”. Poi ha ripreso: “Mio padre ci raccontava delle cose quando eravamo piccoli: com’era cominciata la guerra, i vari schieramenti, le operazioni militari”. In particolare c’è un episodio che il padre di S non ama condividere: “Aveva dodici anni circa. Bisognava preparare gli appartamenti da assegnare ai nuovi immigrati. Le autorità israeliane l’avevano mandato a pulirne alcuni. Lui ci aveva trovato dei cadaveri”. Un’immagine indelebile.

Il padre di N, invece, lavorava per il ministero dell’istruzione. Dopo che è andato in pensione, ha cominciato a inveire contro Israele per le terre che aveva rubato al suo villaggio e alla sua famiglia. Per fare spazio alle case degli ebrei. Ma da un po’ ha cominciato a dimenticare tutto. Non riconosce neanche il genero. “Ora è felice”, sostiene N. “Non ricorda più nulla”.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questa rubrica è uscita il 13 aprile 2018 nel numero 1251 di Internazionale, a pagina 5. Compra questo numero | Abbonati

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