23 luglio 2018 17:34

I passeggeri del pullman hanno cantato per tutto il viaggio d’andata e per tutto quello di ritorno, tre ore dopo. Cantavano quando il pullman è rimasto imbottigliato nel traffico vicino al campo profughi di Qalandiya, quando è passato vicino a una base militare e nei pressi di uno sparuto accampamento beduino. È un grande talento palestinese, ho pensato: cantare come se la vita fosse un continuo festival.

Il ministero dell’informazione palestinese ha organizzato una visita a Khan al Ahmar, il villaggio beduino che combatte eroicamente contro la sua distruzione, imposta da Israele. Il ministero ha invitato i giornalisti per coprire l’evento, in realtà di scarsa importanza, più un’occasione per alcuni funzionari di mettersi in mostra.
Due settimane fa, il 4 luglio, una protesta pacifica contro la demolizione imminente era stata dispersa con la violenza dalla polizia israeliana. Il giorno dopo la corte suprema aveva accolto la petizione di un gruppo di avvocati palestinesi che chiedevano di bloccare la demolizione. Il nemico – le autorità israeliane d’occupazione – è stato colto di sorpresa ma ha subito chiesto una nuova udienza.

Pur continuando a vivere nell’incertezza fino alla prossima sentenza, il villaggio ospita ogni giorno nuovi festeggiamenti e lunghi comizi organizzati dall’Autorità nazionale palestinese. “Non ne possiamo più”, mi ha bisbigliato all’orecchio un abitante del villaggio, prima di correre a prendere caffè e tè per i visitatori.

(Traduzione di Francesca Sibani)

Questa rubrica è uscita il 20 luglio 2018 nel numero 1265di Internazionale, a pagina 25. Compra questo numero | Abbonati

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