07 settembre 2018 12:45

Con una sentenza prevedibile, ma comunque sconvolgente, il 5 settembre l’alta corte israeliana ha ratificato la decisione di demolire il villaggio beduino di Khan al Ahmar. Da metà settembre i bulldozer militari potranno invadere il villaggio in qualunque momento. Basteranno pochi colpi per schiacciare sul terreno roccioso le semplici baracche e i recinti del bestiame. Anche la famosa scuola ecologica, fatta di fango e gomma, soccomberà ai colpi dei bulldozer. Le macerie seppelliranno i sogni di un decennio di attivismo e resistenza: il sogno che un senso comune di giustizia avrebbe prevalso.

La comunità potrebbe allontanare le donne e i bambini prima delle demolizioni, per evitare che assistano a scene violente, oppure no. Forse serviranno decine se non centinaia di poliziotti e soldati per portare via le persone dalle loro case. Povere, senza elettricità né acqua corrente, desolate, ma pur sempre case. L’alta corte ha respinto anche la petizione con cui gli abitanti di Khan al Ahmar chiedevano di costruire sullo stesso luogo un villaggio permanente.

Le colonie vicine da tempo fanno pressioni perché questa zona a est di Gerusalemme e nel centro della Cisgiordania sia ripulita dai beduini. La demolizione della comunità della scuola di gomma spianerà la strada alla distruzione di una ventina di accampamenti simili, semplici villaggi di clan beduini che furono espulsi per la prima volta dalle loro terre nel Negev dallo stato di Israele nel 1948. La nostra è una logica coloniale e ha le sue regole.

Questo articolo è uscito il 7 settembre 2018 nel numero 1272 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati

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