22 gennaio 2016 16:38

Il dilemma “italiano” della politica spagnola potrebbe concludersi con una soluzione “portoghese”. Com’è successo in Italia per decenni, infatti, le elezioni spagnole del 20 dicembre non hanno dato la maggioranza assoluta a nessun partito, restituendo al paese un parlamento diviso tra quattro formazioni: popolari, socialisti, Podemos e Ciudadanos. Per un elettorato che dalla fine del franchismo era stato abituato a un solido sistema bipartitico, la scossone è stato notevole.

E come era successo a novembre in Portogallo – con la sfiducia al primo ministro designato, il conservatore Pedro Passos Coelho, e la nascita di un governo di sinistra – dopo settimane di infruttuosi negoziati le regole dell’aritmetica politica sembrano poter avere la meglio anche a Madrid.

Il leader di Podemos, Pablo Iglesias, ha infatti offerto ai socialisti un accordo per la formazione di un “governo del cambiamento”, aperto anche alla sinistra di Izquierda unida. Dopo aver lungamente tenuto sulla corda il segretario generale del Psoe Pedro Sánchez, Iglesias ha scoperto le carte durante le consultazioni con il re Filippo VI: i numeri per fare un governo di sinistra ci sono e alcune delle “linee rosse” rivendicate da Podemos – per esempio l’organizzazione di un referendum sull’indipendenza catalana – sembrano meno invalicabili che in passato. Ma la nuova coalizione – ha sottolineato Iglesias – dovrà essere costruita su “basi paritarie”, il che vuol dire almeno un ministro a Podemos e la vicepresidenza del governo al suo leader. Non basterebbe, quindi, un appoggio esterno a un esecutivo tutto socialista, magari a tempo, con anche il sostegno di Ciudadanos, e con nuove elezioni all’orizzonte.

Podemos dimostra di voler davvero assumere il difficile compito
di guidare il paese

Messi da parte i possibili attriti futuri e le divergenze di programma con il Psoe, c’è da dire che la scelta di Podemos, che ha sorpreso non poco la leadership socialista, è un atto di responsabilità politica. Come aveva già fatto assumendosi il compito di guidare le amministrazioni comunali di Madrid e Barcellona, il partito di Iglesias ha dimostrato di non volersi nascondere e di voler davvero provare a confrontarsi con il difficile compito di guidare il paese, rischiando di bruciare almeno in parte il suo capitale politico, costruito su un’opposizione frontale ai partiti tradizionali, e il suo fascino radicale e antisistema.

In tutto questo, però, c’è ancora un’incognita da chiarire: la strategia dei popolari di Mariano Rajoy. In quanto leader del partito più votato il 20 dicembre, il primo ministro uscente è il candidato naturale a formare il nuovo esecutivo, come ha più volte ribadito lui stesso e come ha anche sottolineato recentemente Pedro Sánchez.

Rajoy potrebbe tentare la strada del confronto parlamentare sperando nell’astensione dei socialisti, gesto che gli permetterebbe di mettersi alla guida di un esecutivo di minoranza. Ma sottoporsi al voto di fiducia in aula rischia di essere una scelta suicida per il Pp perché i socialisti hanno dichiarato che voteranno contro. Per evitare un azzardo del genere, Rajoy potrebbe essere tentato di farsi da parte e di lasciare la ribalta a Sánchez. Il quale ha appena detto che, in caso di rinuncia del segretario dei popolari, “gli elettori non capirebbero se il Psoe e Podemos non riuscissero a trovare un accordo”.

Le nuove elezioni anticipate di cui si era parlato fino a pochi giorni fa, insomma, oggi sembrano lontane. E un governo di sinistra a Madrid, che colorerebbe di rosso tutta la penisola iberica, è più vicino che mai.

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