05 maggio 2016 09:18

Doveva essere una battaglia sui contenuti e le proposte: sulle politiche per la casa, i prezzi dei trasporti, l’inquinamento, l’eventuale uscita del Regno Unito dall’Europa. E in parte lo è stata. Ma la campagna elettorale per le comunali del 5 maggio a Londra ha avuto soprattutto le sembianze di un brutto gioco al massacro, con accuse personali e colpi bassi.

E la responsabilità – a detta della maggior parte dei giornali, anche di quelli non sospettabili di simpatie laburiste – è stata soprattutto del candidato conservatore Zac Goldsmith, che ha attaccato il suo avversario laburista Sadiq Khan con insinuazioni velenose e argomenti ai confini del razzismo, mostrandosi quasi ossessionato dalle sue convinzioni religiose e origini etniche: “Khan estremista”, “amico dei terroristi”, “pericolo per la città”.

In una città non certo propensa a farsi trascinare dall’isteria e abituata a vivere con grande disinvoltura la sua complessa diversità, una strategia del genere deve aver alienato qualche simpatia al candidato tory, rampollo di una famiglia dalla ricchezza aristocratica e secolare, e perfetta incarnazione della generazione post Thatcher dei conservatori, tutta scuole a Eton, college a Oxbridge e club esclusivi.

Khan è l’esempio del fatto che a volte nel Regno Unito l’ascensore sociale funziona ancora

Il che non è necessariamente un ostacolo, come si è visto con il successo alle legislative del 2015 di David Cameron e con i due mandati di fila conquistati a Londra dal sindaco uscente conservatore Boris Johnson. Ma stavolta i sondaggi danno in vantaggio Khan, la cui vicenda personale è all’estremo opposto di quella di Goldsmith. Figlio di un immigrato pachistano arrivato in Inghilterra per lavorare come autista di bus, laureato in legge, avvocato, dal 2005 deputato della circoscrizione londinese di Tooting e poi ministro con Gordon Brown, Khan è l’esempio del fatto che a volte nel Regno Unito l’ascensore sociale funziona ancora. Come diceva il vecchio slogan di Tony Blair, è tutta questione di “education, education, education”.

Negli ultimi giorni, però, a complicare le cose per il candidato laburista è arrivata la bufera delle accuse di antisemitismo a una parte della leadership del Labour, legata ad alcune dichiarazioni proprio dell’ex sindaco laburista Ken Livingstone. Ulteriore prova del clima avvelenato che si è respirato in campagna elettorale, la vicenda ha causato qualche imbarazzo a Khan, che ha reagito prendendo una posizione netta contro Livingstone, e ha contribuito a far rimanere in secondo piano il confronto sui problemi della città anche nell’ultima fase del dibattito pubblico prima del voto.

Il momento di cambiare

Se il candidato laburista dovesse comunque vincere, probabilmente al conteggio delle seconde preferenze, il ritmo che finora ha scandito le elezioni municipali nella capitale sarebbe rispettato: dal 2000, quando è stata reintrodotta la carica di sindaco, due mandati per il laburista Livingstone e poi due per lo scapigliato Johnson, a conferma che i londinesi si affezionano ai loro primi cittadini e gli danno il tempo per lasciare l’impronta sulla città, ma poi a un certo punto decidono che è arrivato il momento di cambiare.

Per quanto le competenze del primo cittadino di Londra siano sensibilmente meno estese di quelle dei sindaci delle altre grandi metropoli europee, chiunque la spunterà dovrà comunque confrontarsi con una serie di problemi delicati.

Le politiche per la casa, innanzitutto. I prezzi degli affitti stanno di fatto buttando fuori della città le fasce di popolazione con redditi medio-bassi, e secondo stime condivise c’è urgente bisogno di almeno cinquantamila nuove unità abitative. Sul tema il comune ha parecchia voce in capitolo, e il dibattito è soprattutto su che tipo di case realizzare e sull’opportunità o meno di costruire nella cintura verde che circonda la metropoli. Khan è contrario, ma si oppone anche Goldsmith, che ha un passato da ecologista.

Londra non è certo una città euroscettica e ha un’economia che non conosce frontiere: pensarla isolata dall’Europa è difficile

Si discute anche della possibilità di dare al sindaco maggiori poteri per calmierare gli affitti privati, ma sarebbe troppo laborioso entrare qui nel merito delle ricette specifiche dei due candidati. Altro tema importante sono i trasporti, con le tariffe in costante crescita e ormai tra le voci di spesa più consistenti per chi vive in città. Il candidato laburista ha promesso di congelare ogni aumento fino al 2020, cioè per l’intera durata del mandato, mentre il tory si concentra sugli investimenti infrastrutturali. Su alcuni punti – il servizio notturno della metropolitana nei fine settimana, la ferrovie suburbane da mettere sotto il controllo dell’ente per i trasporti della Greater London – c’è invece accordo.

Il peso della Brexit

C’è poi un altro grande tema che incombe sul voto: l’ipotesi della Brexit, l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, sulla quale i britannici decideranno con il referendum del 23 giugno. La questione, per la verità, giocherà un ruolo chiave anche nelle altre tornate elettorali in programma il 5 maggio nel Regno Unito: quelle per il rinnovo dei parlamenti locali in Galles, Irlanda del Nord e soprattutto Scozia, e il voto locale in decine di comuni inglesi. Londra non è certo una città euroscettica, ospita centinaia di migliaia di cittadini stranieri, soprattutto di paesi europei, e ha un’economia che non sa cosa siano le frontiere: pensarla isolata dal continente è davvero difficile.

Anche per questo l’euroscetticismo di Goldsmith può essere un ostacolo. Stando ai sondaggi, in città i populisti eurofobi dell’Ukip di Nigel Farage potrebbero non ripetere il risultato delle legislative del 2015, quando con l’8,1 dei voti sono stati il terzo partito più votato.

Per avere indicazioni sull’orientamento degli elettori di provincia in vista del referendum sarà invece utile osservare i risultati di Farage alle elezioni amministrative in Inghilterra e il voto in Galles, facendo però attenzione a tenere presente la specificità politica di questa regione, tradizionalmente laburista e con un forte partito autonomista (il Plaid Cymru). Secondo i sondaggi, a Cardiff l’Ukip potrebbe toccare il 15 per cento, superando di poco la buona percentuale raccolta lo scorso anno.

Le elezioni scozzesi, praticamente già stravinte dagli indipendentisti dello Scottish national party della first minister Nicola Sturgeon, saranno infine un banco di prova soprattutto per il Labour, che rischia di essere scavalcato dai conservatori. Un risultato quasi del tutto inedito, che metterebbe in difficoltà il segretario dei laburisti Jeremy Corbyn.

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