10 ottobre 2016 12:19

L’ambiente è tra i più domestici che ci siano: il bar nella piazza di un paesino emiliano ai piedi dell’Appenino. Faccia segnata e sguardo limpido, Robyn Leyden e Robin Marshall sono due energiche signore australiane di mezz’età. Le aiuto a districarsi con le ordinazioni e, come a volte capita alle signore di mezz’età, ci siamo subito simpatiche e ci mettiamo a chiacchierare.

Vien fuori che sono entrambe infermiere. Lavorano a Hermannsburg, in pieno deserto, nel mezzo del continente (e del nulla), in una comunità aborigena. Il loro racconto è così vivo e potente che, mentre parlano, lo spazio sembra allargarsi attorno a noi, e la piazza sparire. Comincio a domandarmi se il mezzo del nulla non possa corrispondere, forse, con un possibile centro di tutto.

“Ehi, ehi, un momento, questo è interessante, posso prendere appunti?”, domando. Ne vien fuori un’intervista di oltre due ore.

Ricominciamo dall’inizio?
Hermannsburg è stata fondata alla fine dell’ottocento da missionari luterani. Ci abitano circa 700 persone, per l’85 per cento aborigene. Poi ci sono alcuni volontari tedeschi, e insegnanti e personale medico australiano. Intorno c’è il deserto: non è piatto come sembra visto dall’alto. Le distanze sono enormi. Qualcosa che tu non puoi neanche immaginare.

Il nome aborigeno del posto è Ntaria. Nella tradizione aborigena non c’è il concetto del possesso della terra, ma solo l’idea di prendersene cura. La terra è parte dell’io fisico: di ciò che è ogni persona. Si tratta di una connessione molto forte. Nell’Australia centrale ci sono centinaia di comunità come Hermannsburg. Alcune sono costituite da una singola famiglia estesa. Le più piccole sono chiamate _outstation__._

Qual è la vostra opinione sulla condizione degli aborigeni oggi?
Ancora adesso l’aspettativa di vita degli aborigeni è inferiore di oltre dieci anni a quella dei bianchi: le persone aborigene vivono fino a 50-60 anni, nelle città anche meno. C’è bisogno di miglioramenti e il sistema sanitario cerca di ridurre il divario.

L’Australia è un paese multietnico e oggi le politiche governative sostengono il multiculturalismo. Ma si tratta di una scelta politica recente: quando i bianchi sono immigrati in Australia, soprattutto dall’Inghilterra e a partire dalla fine del settecento, si sono solo preoccupati di prendere possesso della terra.

Per duecento anni ci sono stati massacri, guerre, malattie portate dai colonizzatori e molti fatti vergognosi. Il cibo, le pozze d’acqua, i pozzi artesiani e perfino gli abiti consegnati agli aborigeni sono stati avvelenati. Il 90 per cento della popolazione è stata uccisa: fino a pochi decenni fa queste cose nelle scuole australiane non si potevano dire e si raccontava tutta un’altra storia.

E c’è stata la stolen generation, la generazione rubata: bambini aborigeni sottratti alle loro famiglie, allevati dai bianchi ed educati per diventare domestici. È una pratica governativa durata per più di cinquant’anni, fino agli anni settanta.

A quei tempi gli aborigeni non erano riconosciuti come esseri umani, ma venivano considerati prodotti del territorio, come una pianta o un animale. Fino al 1962 non hanno potuto votare. Il progresso è stato lento. La gente che ha vissuto queste cose è ancora viva e ricorda.

Due donne del centro antiviolenza di Ntaria nella Palm valley. (Robby Leyden)

Da voi lingua e tradizioni sono ancora vive?
In molti posti la lingua e la cultura sono andate distrutte e non resta niente, ma dove lavoriamo noi la lingua e le tradizioni sono ancora molto forti: il western aranda è ancora la prima lingua parlata.

Nell’area dove si parla il western aranda vivono circa mille persone. E nei territori del central e eastern aranda, lingua e tradizioni sopravvivono. Nell’Australia centrale ci sono quattro gruppi linguistici principali. Adesso i giovani si muovono nel territorio, e succede che usino parole di tre lingue differenti nella stessa frase, cosa che fa molto arrabbiare gli anziani. I vecchi vogliono che i giovani sappiano lavorare e vivere in due mondi, il mondo tradizionale e il mondo nuovo, e questo è molto complicato.

Sono le organizzazioni aborigene a preservare la lingua come fattore identitario: se perdi la tua lingua perdi molto. Il western aranda non ha una scrittura.

È una lingua molto difficile da parlare perché molti suoni si formano qui, nelle guance(Robin si tocca l’area accanto al naso, appena sotto gli occhi) o dietro il collo.

Vent’anni fa, quando il coro della missione ha cantato per la prima volta all’Opera House di Sydney, molti degli aborigeni che erano andati a sentirlo si sono resi conto di aver perso il loro linguaggio e hanno pianto. Questo è molto triste: capire che altri hanno ancora una lingua e possono cantarla, e che si tratta di qualcosa che tu invece hai perduto.

Era la prima volta che le donne uscivano dalla missione.

I maori in Nuova Zelanda hanno combattuto insieme contro la colonizzazione anche perché avevano un’unica lingua. In Australia le distanze sono troppo grandi e ci sono troppe lingue differenti: gli aborigeni non sono mai riusciti a organizzarsi contro il coloni.

L’obiettivo dei coloni era cacciare la gente via dal suo territorio, che è sacro. Gli aborigeni non definiscono se stessi indigeni, ma appunto aborigeni. Molta gente pensa che “indigeni” sia più politicamente corretto, ma loro non vogliono essere chiamati così.

Gli aborigeni pensano che la vita sia cominciata nel dreamtime, il tempo del sogno. Ci sono differenti storie in differenti terre di differenti clan, e luoghi sacri per donne o per uomini. Le persone possono conoscere i luoghi sacri solo dopo essere state iniziate.

Quando sai che un posto è sacro, sai anche che dovresti rispettarlo. Ancora oggi, ogni anno, nella nostra comunità i giovani uomini vanno nel bush per l’iniziazione. L’età è variabile: ci vanno quando cambiano la voce.

Funzionario dell’assistenza sociale. (Robby Leyden)

Che cosa fanno le persone a Hermannsburg?
Cacciano e raccolgono. Gli uomini cacciano certe cose e le donne altre. Gli uomini cacciano canguri, varani (goanna) e varani giganti (perentie), bestie che arrivano ai due metri e mezzo di lunghezza. Le donne cacciano varani e larve (witchetty grub) che prendono dalle radici delle piante del bush. Le larve si mangiano sia crude sia cotte. Una volta gli uomini usavano il boomerang. Adesso usano i fucili, o vanno addosso all’animale con la moto o con la macchina. Ma molta gente sa ancora usare il boomerang.

Una volta, ai tempi delle missioni, nelle comunità si allevavano vacche, ma adesso non più. Alcuni costruiscono strade o fanno i guardiani delle proprietà comuni. Alcuni lavorano all’estrazione del gas. Alcuni lavorano nella scuola, come assistenti agli insegnanti, e un paio sono insegnanti. Poi ci sono gli health practictioner: sono importanti figure di connessione con la comunità.

La fabbrica dei vasi. (Robby Leyden)

E poi ci sono il coro e la fabbrica di vasi. I vasi non vengono fatti al tornio, ma messi insieme schiacciando l’argilla con le mani, fino a ottenere forme sferiche perfette. Sono bellissimi e le decorazioni sono molto spiritose. Il coro è andato in tournée anche in Germania.

La popolazione sta crescendo. Gli anziani sono pochi ma gli aborigeni fanno figli già da giovani, quindi in media la popolazione è giovane. Si sposano secondo tradizione, e in accordo con lo skin name, che non c’entra per niente con il colore della pelle. È un complesso sistema di relazioni che, secondo diverse traiettorie, lega ogni individuo a ogni altro appartenente alla comunità; è un’idea che può confondere. Non c’entrano solo i legami di sangue, e ci sono strane regole: per esempio, le persone possono avere più di una madre. Oppure, in certe comunità, i mariti non possono parlare con la suocera, il che può essere anche una buona cosa.

Come siete state accolte dalla comunità e che cosa fate lì?
La vita nell’Australia centrale è dura, e per affrontarla devi essere forte. L’acqua o il cibo possono mancare, alle persone o agli animali. Devi anche imparare a essere tollerante.

Noi siamo partite insieme come infermiere. Non lavoriamo per il governo o per i privati, ma per una organizzazione locale aborigena, guidata da aborigeni. Ci occupiamo di malattie croniche, di bambini, di donne incinte, di alcol e droga. Facciamo medicina preventiva e siamo un ponte per accedere all’ambulatorio pubblico, quando ce n’è bisogno. Noi ci muoviamo e andiamo nei villaggi: le persone credono in te se vai da loro, e non se te ne stai seduta in un ambulatorio.

Assistenti all’infanzia. (Robby Leyden)

Ci occupiamo di mille persone circa, ma il numero può variare perché ancora oggi le famiglie si muovono da un posto all’altro. Gli aborigeni credono in te se hai costruito una relazione forte: senza quella, nessuno ti dà retta. La questione non è quali informazioni dai, ma chi sei tu. Loro devono potersi fidare di te e capire qual è il tuo posto nella loro società.

La gente della comunità ha senso dello humor ed è tollerante. Tu devi mostrare rispetto perché loro meritano rispetto. La comunità è generosa: ti perdona se fai uno sbaglio, e lo fa ridendo di te. Di noi hanno riso molte volte. Adesso dicono che anche noi siamo aborigene.

Quando parli a qualcuno della sua salute non si tratta mai solo del corpo, ma di corpo, anima, famiglia e terra, tutto insieme. Come infermiere dobbiamo considerare la persona insieme all’intera comunità e al territorio: non puoi mai trattare una singola cosa o una singola persona.

Che cosa mangiate?
Questo è il problema! Quando gli aborigeni vanno a caccia e mangiano in maniera tradizionale sono magri. Ma nella comunità ci sono due supermarket che vendono bevande gassate e cibo occidentale molto raffinato, pieno di zucchero e grassi. È un cibo a cui gli aborigeni non sono abituati e a loro sembra davvero gustoso. Così diventano grassi come succederebbe a chiunque altro, ma si ammalano prima. C’è un sacco di diabete in giro.

In genere gli aborigeni non desiderano e non vogliono l’alcol: quelli che non hanno mai bevuto alcol sono, in percentuale, molti di più degli australiani astemi. D’altra parte, ci sono pochi aborigeni che bevono, e se lo fanno bevono davvero tanto, così come bevono davvero tanto i bevitori australiani. Ma gli aborigeni fanno tutto fuori casa, compreso il bere, mentre i bianchi si nascondono dentro. Per questo si notano molto di più gli aborigeni che bevono.

Noi ci sentiamo privilegiate e onorate di lavorare con gli aborigeni. Stiamo cercando di restituire alla gente almeno parte di quello che ha perduto ma non è facile, e ci vorranno un paio di generazioni. Per fortuna le madri aborigene sono molto attive e le famiglie sono consapevoli di quanto l’educazione sia importante.

Un’assistente sanitaria (health practictioner) in ambulatorio. (Robby Leyden)

Ma se vuoi capire qualcosa degli aborigeni scordati film come Australia, che sono solo una presa in giro, e guardati piuttosto La generazione rubata, sulla storia della generazione rubata. E ricordati: è vero che lì le persone sanno le cose prima che accadano. Glielo dice un cambiamento del tempo o un altro segno naturale. È difficile da spiegare: non è magia. Piuttosto, premonizione, o il fatto di essere connessi con quanto ti sta intorno. È come se avessero un sesto senso. Se qualcuno si ammala tutti lo sanno, anche se vivono molto lontano. Ma di questi argomenti non si può parlare tanto.

Che cosa vi mancherà di più dell’Italia?
Australia e Italia sono due paesi antichi, anche se in modo molto diverso. Ci mancherà la gente che abbiamo incontrato, la storia e il suono della lingua, così dolce.

Alla fine della chiacchierata sono loro, Robyn e Robin, a ringraziarmi. Mi manderanno delle foto: “La nostra è una comunità forte. Se vede che la sua storia viene raccontata dall’altro capo del mondo, diventa ancora più forte”, dicono.

Se siete arrivati a leggere fin qui, mandate un pensiero alla gente di Hermannsburg, nel cuore dell’Australia. E, se vi va, provate a credere che loro lo sapranno, di essere stati pensati al di là dell’oceano, all’altro capo del mondo.

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