11 giugno 2022 09:03

Oggi i giovani hanno l’abitudine di descriversi come “incasinati di brutto”. Nonostante il qualificativo dal sapore millennial – non soltanto “incasinati”, ma anche “di brutto” – l’espressione non è nuova. I primi esempi risalgono al diciannovesimo secolo. Nel 1899 un editorialista scrisse che “se i giornali dicono che il cielo è dipinto con gesso verde, allora è così. Ti confesso che i lettori sono incasinati di brutto”.

Quando le persone utilizzano questo termine generalmente non intendono dire che sono in fuga dalla mafia, che sono intrappolate in un triangolo amoroso o che si sono risvegliate senza un rene dopo una notte di baldoria. Al contrario, vogliono comunicare il loro stato di profondo disagio emotivo: sono insicure, nevrotiche, consapevoli che tutti si accorgono del loro stato pietoso. O almeno questo è quello che pensano. In verità spesso crediamo di essere molto più incasinati di quanto siamo in realtà. Comprendere questo dato di fatto e agire di conseguenza può aiutarci a rilassarci e a goderci un po’ di più la nostra vita incasinata.

Un fenomeno ben documentato in psicologia è quello che porta le persone sane e normali – non narcisiste o sociopatiche – a concentrarsi di più sui propri aspetti negativi. La maggior parte degli individui vive l’autocritica in due modi. Da un lato c’è l’autocritica comparativa, in cui la persona si paragona negativamente agli altri, che ritiene superiori a sé. Dall’altro c’è l’autocritica interiorizzata, in cui la persona non crede di essere all’altezza dei propri standard elevati e delle proprie aspettative e di conseguenza vive una quotidiana sensazione di fallimento.

Percezioni distorte
Il motivo per cui una persona sente di essere peggiore rispetto agli altri non è necessariamente legato a valutazioni reali. Al contrario, è probabile che questa persona soffra di un disturbo chiamato Self-other knowledge asymmetry (Soka, Asimmetria di percezione tra sé e gli altri), ovvero valuta più accuratamente i tratti che nasconde agli altri mentre gli altri sono più accurati nella valutazione di altre caratteristiche. Diversi studi dimostrano che l’individuo è il miglior giudice del proprio nevroticismo, mentre le persone più vicine a lui giudicano meglio il suo intelletto. Infine tutti possono giudicare la sua estroversione.

Questo significa che confrontiamo una versione negativamente distorta di noi stessi con un ritratto attentamente edulcorato degli altri

Molte persone favoriscono questa asimmetria convincendosi che ammettendo le proprie debolezze gli altri li percepiranno in modo più negativo. Di solito siamo spietati con le nostre debolezze, dunque le teniamo nascoste. Al contempo siamo clementi rispetto alle mancanze degli altri e a volte le troviamo persino attraenti. Alcuni psicologi parlano dell’effetto beautiful mess, bel casino. Sbagliando, pensiamo che gli altri ci giudicheranno con durezza se ammettiamo un errore o chiediamo aiuto, quando in realtà le persone considerano la vulnerabilità come un tratto tenero, o un segno di carattere.

Effettuare un paragone tra se stessi e gli altri peggiora tutti questi effetti. Pensare al modo in cui gli altri ci vedono – la “metapercezione” – sembra poterci aiutare a capirci meglio, ma sfortunatamente le conclusioni che ne traiamo tendono a essere sbagliate. Abbiamo l’impressione che gli altri siano più integrati, ma è soltanto l’effetto del Soka. Il confronto sociale ci spinge a concludere di essere insolitamente carenti.

I social network ingigantiscono il problema incoraggiando tutti gli utenti a pubblicare soltanto interventi felici o auto celebratori. Osserviamo i nostri amici mentre passeggiano in una giornata di sole, sorridenti, socievoli e allegri. Magari hanno pianto disperatamente o hanno urlato contro il partner qualche ora prima, ma noi non lo sapremo mai. Nessuno scrive “mio figlio ha appena toppato di nuovo in matematica. #terribile!”. Ma se il nostro cervello fosse un profilo Facebook è precisamente questo il tipo di aggiornamento che verrebbe pubblicato quasi ogni giorno. Questo significa che confrontiamo una versione negativamente distorta di noi stessi con un ritratto attentamente edulcorato degli altri. Questo, inevitabilmente, può portarci a pensare di essere “incasinati di brutto”.

Questione di empatia
Se lasciamo queste tendenze libere di svilupparsi, la ricompensa per questa auto-consapevolezza sarà una vita di dolore e auto-sabotaggio. Fortunatamente esistono due strategie che possono portare un po’ di sollievo.

Una autopercezione e una metapercezione accurate hanno bisogno di una conoscenza dei propri pregiudizi. Se veniamo lasciati liberi di seguire i nostri istinti potremmo facilmente convincerci di essere “incasinati” rispetto agli altri. Ma essere consapevoli degli errori che ci portano a questa conclusione può aiutarci a valutare meglio la nostra esistenza. La prossima volta che proverete vergogna per le vostre inadeguatezze, meditate su due fatti:

  1. Siete le uniche persone che possono vedere nella vostra testa.

  2. Anche gli altri soffrono nella loro testa, esattamente come voi.

Una volta assimilate queste due verità, potrete seguire la seconda meditazione nel suo secondo passo logico: condividere i vostri sentimenti per mostrare compassione per gli altri rispetto alle sofferenze che con ogni probabilità nascondono dentro di sé. Se ogni volta che vi sentite insicuri o ansiosi vi ricorderete che anche gli altri lo sono, allora potrete usare le vostre debolezze come un ponte. Ammettete agli altri di provare emozioni negative e chiedetegli di raccontarvi le loro. È incredibile quanto questo processo aiuti le persone ad aprirsi, a facilitare una comunicazione profonda e a sentirsi meglio.

un po’ di caos stimola la produzione di idee creative. L’incasinamento libera dalle convenzioni e ispira pensieri profondi e nuovi

Essere aperti in merito alle vostre sofferenze per aiutare gli altri è anche una forma di auto-compassione. Vi permette di comprendere il vostro dolore senza eccedere nei giudizi negativi e trattarlo come una parte della normale condizione umana. Questo genere di autocompassione migliora la salute mentale più degli approcci di stimolo dell’autostima in cui si cerca di cambiare la propria autovalutazione. Per esempio la prossima volta che sarete nervosi rispetto a una conversazione con qualcuno, anziché cercare di forzarvi a essere più sicuri di voi, confessate all’altra persona di essere nervosi. Con ogni probabilità penserà che siete affascinanti e divertenti, un dono. E se vi giudicherà negativamente, questo evidenzia più i suoi problemi che i vostri.

Se vi sentite nelle condizioni di farlo, potreste addirittura seguire l’approccio più radicale: accettare il vostro “incasinamento” considerandolo un dono. In questo modo potreste sviluppare la vostra creatività e spingervi a cercare nuove esperienze, aumentando la vostra felicità. Per capire come funziona, considerate gli studi sulle stanze dalle persone. La conclusione è che nonostante un certo ordine possa produrre benefici come spingerci ad alimentarci nel modo corretto o donare alle organizzazioni benefiche, un po’ di caos stimola la produzione di idee creative. L’incasinamento libera dalla convenzionalità e ispira pensieri profondi e nuovi.

Potete facilmente immaginare lo stesso meccanismo all’interno nella vostra testa: quando tutto è pulito e ordinato siete bravi a seguire un percorso prestabilito, mentre quando vi sembra che nei vostri sentimenti ci sia un tornado il risultato potrà non essere piacevole, ma vi aiuterà a scoprire nuovi modi di vivere. L’incasinamento che cercate di nascondere potrebbe essere un biglietto per un’esperienza visionaria.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questo articolo è uscito sul sito del mensile statunitense The Atlantic.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it