15 giugno 2015 16:35

Se non sei un uomo che ha rapporti sessuali con altri uomini, la parola Truvada probabilmente non ti dirà nulla. Se al contrario ti dice qualcosa, è perché sta modificando la tua ecologia sessuale: dove, quando, come e con chi.

Truvada è un farmaco antiretrovirale prodotto dal laboratorio Gilead Sciences di San Francisco ed è commercializzato come trattamento profilattico preventivo contro la trasmissione del virus hiv. In un primo tempo elaborato per la cura delle persone sieropositive, questo medicinale è stato poi autorizzato nel 2013 dall’agenzia statunitense per i farmaci (Fda) come mezzo di prevenzione dell’aids tra individui a rischio – cosa che nella cartografia epidemiologica equivale a essere un omosessuale passivo, cioè recettore anale di penetrazione ed eiaculazione.

In Europa il Truvada ha cominciato a essere testato nel 2012. Dal 2015 l’associazione Aides e il comitato scientifico francese chiedono l’allargamento delle condizioni di accesso a questo farmaco, il cui uso sarebbe raccomandato a partire dal 2016. Negli Stati Uniti il Truvada (il cui costo mensile al di fuori dei farmaci generici è di 1.200 dollari) ha fruttato tre miliardi di dollari in un anno. Oggi si calcola che un milione di statunitensi potrebbe diventare consumatore di Truvada per evitare di diventare consumatore di farmaci antiretrovirali destinati ai sieropositivi.

La rivoluzione di una pillola

A quanto pare il Truvada induce nella sessualità dei gay una trasformazione simile a quella provocata dalla pillola contraccettiva nella comunità eterosessuale degli anni settanta. La pillola e il Truvada condividono lo stesso modo di funzionamento, sono dei preservativi chimici concepiti per prevenire dei “rischi” durante un rapporto sessuale. Poco importa che questo rischio sia una gravidanza indesiderata o la trasmissione dell’hiv.

Sia la pillola sia il Truvada contraddistinguono la transizione cominciata a metà del novecento da una sessualità controllata da apparati disciplinari “rigidi” ed esternalizzati (architetture segregate e di isolamento, cinture di castità, preservativi e così via) verso una sessualità mediatizzata da dispositivi farmacopornografici, cioè da tecnologie “flessibili”, biomolecolari e digitali. La sessualità contemporanea è costruita a partire da molecole commercializzate dall’industria farmaceutica e da rappresentazioni immateriali che circolano nei social network e nei mezzi d’informazione.

Il passaggio dal preservativo di gomma ai condom chimici provoca una serie di cambiamenti radicali. Il primo riguarda il corpo su cui si applica la tecnica. A differenza del preservativo, la profilassi chimica non riguarda più il corpo egemonico (maschile “attivo”, penetrante ed eiaculante – situazione identica nella relazione eterosessuale o gay) ma i corpi sessuali subalterni, i corpi dotati di vagina o di ano penetrabile, recettori potenziali di sperma, esposti al “rischio” della gravidanza o della trasmissione virale.

Con i preservativi chimici, inoltre, la decisione di utilizzo non si prende durante l’atto sessuale ma in precedenza. Ingerendo la molecola, il consumatore costruisce la propria soggettività in una relazione temporale di proiezione nel futuro: si tratta di trasformare con l’assunzione del medicinale la propria vita e la totalità del proprio corpo, così come la sua rappresentazione, la sua percezione delle possibilità di azione e di interazione.

Scopiamo liberamente, ma scopiamo con il farmaco!

Il Truvada non è né un semplice medicinale né un vaccino (non cura nulla, con una semplice dose non si evita nulla), ma come la pillola contraccettiva è una macchina sociale: un dispositivo biochimico che è applicato su un corpo individuale, ma che di fatto opera sull’intero corpo sociale producendo nuove forme di relazione, di desiderio e di affetto. Così il successo farmacologico e politico della pillola negli anni settanta e del Truvada oggi risiede nel fatto che i preservativi chimici, insieme al Sildenafil (la molecola del Viagra), permettono di elaborare una finzione di sessualità maschile “naturale” del tutto sovrana e il cui esercizio – pensato come erezione, penetrazione e circolazione illimitata di sperma – non è più limitato da vincoli fisici.

Mentre il barebacking (il sesso senza preservativo tra gay sieropositivi) era stato pensato negli anni novanta come una sorta di terrorismo sessuale (pensiamo alla polemica che aveva opposto lo scrittore Guillaume Dustan ai militanti di Act Up), oggi il sesso sicuro e responsabile è il barebacking con il Truvada: farmacologicamente igienico e sessualmente virile.

Paradossalmente, il potere di questo farmaco è quello di produrre una sensazione di autonomia e di libertà sessuale. Senza mediazione visibile, senza preservativo di gomma, il corpo maschile che penetra acquisisce una sensazione di totale sovranità sessuale, anche se in realtà ogni goccia di sperma è mediatizzata attraverso tecnologie farmacopornografiche molto complesse: la sua libera eiaculazione è resa possibile solo grazie alla pillola, al Truvada, al Viagra, alle immagini pornografiche e così via.

In realtà si può immaginare che l’obiettivo del Truvada, come quello della pillola, non sia migliorare la vita dei loro consumatori, ma ottimizzarne il loro sfruttamento, la loro schiavitù molecolare, alimentando la finzione della loro libertà ed emancipazione, e riaffermando la posizione sessuopolitica di dominio della virilità normativa. La relazione con il farmaco è una relazione libera ma al tempo stesso di dipendenza sociale: scopiamo liberamente, ma scopiamo con il farmaco!

In termini di dipendenza molecolare, le differenze tra l’eterosessualità e la sessualità gay sembrano scomparire. Negli ultimi anni la sessualità gay è passata dallo stato di subcultura marginale a uno spazio codificato, regolamentato e catturato dai linguaggi del capitalismo neoliberista. Ormai si può smettere di pensare l’opposizione in termini di eterosessualità/omosessualità e cominciare a riflettere in termini di tensione tra gli usi normativi e dissidenti delle tecniche di produzione della sessualità con cui noi tutti, assolutamente tutti, dobbiamo fare i conti.

(Traduzione di Andrea de Ritis)

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