22 settembre 2016 16:51

Aspetto da mesi che un magistrato dello stato spagnolo – uno stato che è ancora oggi una democrazia monarchica – mi autorizzi a sostituire, sui miei documenti d’identità, il nome proprio femminile che mi è stato assegnato alla nascita con uno maschile. Da quest’attesa dipende la mia possibilità di viaggiare liberamente, affittare un’automobile o un appartamento, usare una carta di credito o alloggiare in un albergo.

Tecnicamente si tratta di una “pratica per il cambio di sesso nei registri di stato civile”. Compilo i documenti in catalano, una lingua che capisco ma che non so scrivere, presso il registro dello stato civile di Barcellona. A quanto pare in Catalogna i giudici sono più permissivi che in Castiglia. È una procedura amministrativa relativamente complessa, apparentemente rigorosa, ma nei fatti piena di contraddizioni. Una procedura più simile a una performance d’arte concettuale che a un atto giuridico.

Per completare la pratica è necessario allegare un certificato medico che diagnostichi quello che lo stato spagnolo definisce “disforia di genere”. Secondo la terminologia elaborata nel 1973 dallo psichiatra infantile John Money, si tratta di “un disturbo osservato clinicamente e associato al genere di nascita”. D’accordo con l’epistemologia della differenza dei sessi, la medicina occidentale definisce la disforia di genere come la discordanza tra il genere assegnato alla nascita e il genere al quale l’individuo sente di appartenere.

Perché Paul Beatriz?
Prima di riconoscere il mio nome maschile, l’istituzione pone quindi come condizione il fatto che io mi riconosca, prima di tutto, come disforico. Niente è gratuito qui. Lo stato mi dice: se vuoi un nome, dammi prima la tua ragione, la tua coscienza e la tua salute mentale. Lo stato si rivolge a me prima di tutto in quanto disforico. Non avrei mai pensato di accettare. Ma l’ho fatto. Ho rinunciato a nozioni come la ragione, la coscienza, la salute mentale. Ormai mi costruisco attraverso altre tecnologie dello spirito.

L’articolo quattro della pratica dichiara che devo “fornire le prove del fatto che mi sottopongo a un trattamento medico che ha come oggetto la conformazione delle mie caratteristiche fisiche al sesso maschile”. A queste prove aggiungo la firma del mio medico, il timbro della clinica e il nome del farmaco che assumo, Testex Prolongatum, 250 milligrammi in soluzione iniettabile.

Ho diritto ad avere un nome utopico, un nome eterogeneo

Il mio avvocato ha aggiunto una clausola particolare: chiedo che il mio nome femminile non sia semplicemente sostituito con quello maschile, ma che io lo possa conservare come secondo nome proprio. Chiedo che lo stato spagnolo riconosca come mio nome quello di Paul Beatriz. Per rafforzare questa domanda, il mio avvocato ha aggiunto una serie di esempi che dimostrano che il primo nome è quello che indica il genere. Non c’è niente di strano nel chiamarsi Gian Maria.

Il segretario amministrativo che compila il dossier domanda: “Perché Paul Beatriz? Non vuole cambiare sesso?”. Chiama quindi un altro funzionario per assicurarsi di poter accettare quella richiesta. E precisa: “Paul glielo concederemo, ma Beatriz non è sicuro. Può darsi che sia rifiutato per evitare ogni ambiguità di sesso”. Mi ritrovo in una situazione paradossale, nella quale lo stato spagnolo può rifiutare di darmi il nome che mi era stato dato alla nascita! Penso (ma in silenzio) di aver il diritto ad avere le mie idee, anche se sono stupide, e anche al mio nome. Ho diritto ad avere un nome utopico, un nome eterogeneo.

Finzione giuridica
Il funzionario mi avverte che nel quadro della procedura il registro civile di Barcellona darà ordine a quello di Burgos di distruggere il mio certificato di nascita datato 11 settembre 1970. Quando la sua distruzione sarà effettiva, sarà ordinata la creazione di un nuovo certificato di nascita, con un nuovo nome di battesimo, “firmato nel 2016 ma datato 1970”. Tra queste due date passeranno alcuni giorni, forse settimane, durante i quali non esisterà nessun certificato di nascita a mio nome. L’idea che la mia nascita possa non essere esistita mi fa tremare. Chi sono di fronte alla tecnologia della finzione giuridica? Chi sono mentre il mio certificato di nascita non esiste?

Il giorno del mio compleanno prenderò un bus da Atene a Delfi per consultare l’oracolo. Può darsi che nello stesso momento, all’altro capo del Mediterraneo, un magistrato-Apollo starà distruggendo il mio certificato di nascita o forse, chissà, ne starà redigendo uno nuovo.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito sul quotidiano francese Libération

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