04 giugno 2017 16:35

Nel diciannovesimo secolo più di quaranta milioni di bisonti furono uccisi in Nordamerica. Questi sublimi e imponenti erbivori non sono stati sacrificati né per la loro carne né per la loro pelle. La loro carne marciva al sole e le loro ossa sbriciolate erano usate come fertilizzante per le nuove terre colonizzate.

Il massacro dei bisonti fu concepito dal governo federale, e poi realizzato dall’esercito e da milioni di coloni anonimi (tutti in possesso di una carabina), come strumento per far sfollare e morire di fame i popoli indigeni, la cui alimentazione e il cui stile di vita dipendevano interamente dalla caccia rituale al bisonte. Il colonnello Sheridan applicò una vecchia regola dell’arte della guerra secondo la quale “distruggere le risorse del nemico è il metodo più efficace e risolutivo di liquidarlo”.

Già a partire dal 1890 non restavano più che 750 bisonti, i quali trovarono rifugio nel parco di Yellowstone, il che ha permesso la sopravvivenza della specie fino a oggi. Nel 1890 i popoli indigeni erano stati quasi interamente sterminati o confinati nelle riserve, sotto il controllo federale. Senza dubbio per compensare simbolicamente le colpe del genocidio e un debito impossibile da rimborsare, il presidente Obama ha fatto, poco tempo fa, del bisonte l’animale simbolo degli Stati Uniti.

Vite intrappolate
La strategia guerriera applicata da Sheridan potrebbe chiarire le attuali politiche di gestione della transessualità in buona parte degli stati europei. Mentre alcuni, come la Spagna, hanno approvato delle leggi che facilitano l’accesso al cambio d’identità sessuale, facendo delle persone trans il nuovo “animale simbolo” delle politiche sociali progressiste, le pratiche concrete di produzione della soggettività trans utilizzate istituzionalmente continuano a minacciare le nostre vite.

Da un mese noi utilizzatori di Testex prolongatum in dosi da 250 milligrammi, un composto a base di testosterone cipionato, concepito e commercializzato dai laboratori Desma, siamo sottoposti a una limitazione quasi totale dell’acquisto di questo farmaco. Secondo alcuni, i laboratori Desma intendono cambiare il nome o la formula della loro preparazione, il che permetterebbe di modificarne anche il prezzo.

Mentre la dose iniettabile intramuscolo (che è sufficiente a coprire il supplemento di testosterone per 14 giorni) costa 4,42 euro, di cui 0,50 a carico dell’utente, la sua alternativa Testogel in dosi da 50 milligrammi (da applicarsi quotidianamente) costa 52,98 euro, quasi cinquanta dei quali rimborsati dalla sanità pubblica.

Lo stato ci riconosce come transessuali a condizione di presentarci come malati psicopatologici

Siamo intrappolati in logiche incrociate e apparentemente opposte, ma in realtà complementari, di controllo della soggettività sessuale dissidente. Lo stato ci riconosce come transessuali a condizione di presentarci come malati psicopatologici ai quali va somministrato un trattamento. L’industria farmaceutica, invece, ha bisogno di effettuare diagnosi psicopatologiche solo per trasformarci in consumatori redditizi.

Né l’uno né l’altra, tuttavia, ha interesse al nostro libero accesso al testosterone. Lo stato preferisce tenerci sotto controllo: patologizzati, dipendenti e sottomessi. Per l’industria farmaceutica siamo abbastanza redditizi come consumatori di Testex, ma preferisce fare in modo che il Testogel, più caro, diventi l’unico accesso al testosterone. Lo stato ci marchia e c’incatena, obbligandoci a vivere nel terreno limitato della “malattia”. L’industria farmaceutica sfrutta economicamente i nostri bisonti.

È noto che l’interruzione della somministrazione regolare del trattamento scatena cambiamenti ormonali, che a loro volta hanno una serie di effetti secondari insopportabili: cambiamenti d’umore, sudorazione, tremore delle mani, emicranie e ritorno del ciclo mestruale. Entro in una qualsiasi farmacia e chiedo, come un disoccupato in cerca di lavoro o un richiedente asilo, e ricevo sempre la stessa risposta: i laboratori non lo distribuiscono e la sanità pubblica non può farci niente. Allora smetto di essere un cittadino e un professore e mi trasformo in tossico alla ricerca dei suoi 250 milligrammi di testosterone. Divento un compratore d’oro a basso costo, un cercatore di diamanti in svendita, un contrabbandiere di organi.

Fabbricare un corpo, portare un nome, avere un’identità legale e sociale è un processo materiale: deve per forza riguardare un insieme di protesi sociopolitiche (certificati di nascita, protocolli medici, ormoni, operazioni, contratti di matrimonio, documenti d’identità). Impedire o limitare l’accesso a queste protesi equivale, di fatto, a rendere impossibile l’esistenza di una forma sociale e politica di vita.

Scappare al galoppo
Si dice che all’epoca della colonizzazione del Nordamerica una buona parte degli indiani fu rinchiusa nelle riserve. Sheridan propose l’accordo finale: lo stato federale avrebbe dato a ciascun indiano una bottiglia di whisky in cambio di una lingua di bisonte. Così furono uccisi gli ultimi animali di questa specie. Di fronte alle urne, davanti alle istituzioni o di fronte al mercato, noi cittadini siamo delle semplici riserve di popolazione prigioniera e consumatrice. Ci mettiamo in fila per votare, in fila per ricevere un salario e pagare le bollette, in fila per accedere a una dose, e via dicendo. È impossibile continuare a simulare una relazione d’amicizia con le istituzioni – che chiamiamo democratiche, ma che sterminano i bisonti – o con il mercato – che fa affari con le loro lingue.

Occorre inventare delle forme di vita sovrane di fronte alla doppia elica costituita dallo stato patriarcale e dal mercato liberista. È necessario creare delle cooperative di utenti politicizzati, cooperative che ci permettano di ottenere sovranità, sia di fronte a istituzioni patologizzanti, sia di fronte all’industria farmaceutica e alle sue ambizioni di guadagno sterminatrici. Le cooperative di utenti politicizzati sono i luoghi nei quali si producono e si distribuiscono non solo le sostanze, ma anche le conoscenze: luoghi di autodiagnosi, di produzione autonoma, ecologica e durevole, di equa distribuzione. Facciamola finita con queste liste d’attesa segnate dalla sottomissione. Non faremo morire un solo bisonte di più. Salteremo sull’ultimo cavallo che ci resta e scapperemo via al galoppo.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito sul quotidiano francese Libération.

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