04 ottobre 2013 07:00

Ormai ci sono due G8. Da un lato c’è il gruppo formato dalle otto maggiori potenze del mondo, e dall’altro una squadra di otto cardinali provenienti dai cinque continenti e incaricati da papa Francesco di aiutarlo a riflettere sulle evoluzioni del cattolicesimo.

Oltre al G8 dei ricchi, insomma, c’è anche il G8 della fede, convocato in questi giorni dal papa ad Assisi, la città del santo da cui il pontefice ha preso il nome. Quella di Francesco d’Assisi è una figura che affascina i credenti e gli atei, che al santo riconoscono il merito di aver scelto di vivere in povertà rinunciando alle sue ricchezze, di aver ricordato alla chiesa il suo dovere di essere povera tra i poveri (purtroppo senza successo) e di aver coltivato un rapporto d’intimità e rispetto con la natura, da lui considerata come un dono della creazione.

Le scelta del nome da parte di papa Bergoglio non è casuale. Nella storia non c’è mai stato un altro papa di nome Francesco, e questo testimonia il desiderio del pontefice di portare la chiesa cattolica verso un nuovo inizio. Inoltre la vita del santo italiano simboleggia una scelta di compassione per i poveri che Bergoglio ha immediatamente sottolineato rifiutandosi di occupare gli appartenenti vaticani riservati al sovrano pontificio.

Con il nuovo papa la chiesa ha dato vita a una rivoluzione nel senso letterale del termine, una rotazione completa su se stessa per tornare alle sue origini, quando era ancora lontana dal potere temporale e fedele all’insegnamento di Cristo improntato alla carità e all’amore per il prossimo. Quando papa Francesco ha dichiarato che “il liberalismo selvaggio rende i forti più forti, i deboli più deboli e gli esclusi più esclusi” qualcuno avrà pensato a una volontà di rottura, ma in realtà non è così.

Il messaggio del papa argentino non risponde soltanto al desiderio di ritrovare le radici del cristianesimo, ma anche alla volontà di riprendere una delle due grandi eredità di Giovanni Paolo II, l’uomo che aveva incarnato allo stesso tempo il rispetto del dogma e della morale cattolica ma anche (dopo il crollo del comunismo) un sentimento di denuncia del regno del denaro e delle sue ingiustizie. Alla morte del papa polacco il conclave aveva scelto di seguire la prima di queste due eredità, eleggendo il conservatore Benedetto XVI. Ma quella strada si è rivelata senza uscita e poco adatta alle necessità di un mondo dominato dall’adorazione del vitello d’oro, tanto che Benedetto XVI ha capito di doversi dimettere per il bene della chiesa e lasciare il suo posto a un cardinale venuto dall’America Latina, un continente dove il cattolicesimo può contare su nutriti battaglioni e dove la giustizia sociale è un’emergenza assoluta.

Certo, papa Francesco non approverà mai l’aborto, il divorzio o i matrimoni gay, ma di sicuro smetterà di condannare ciò che non approva e di voler difendere un ordine morale che la chiesa non ha più i mezzi per imporre. Il nuovo papa tenderà la mano a tutti gli uomini di buona volontà, senza giudicarli ma dando il buon esempio con la sua rinuncia ai fasti e la sua strenua difesa degli esclusi del mondo.

Oggi la chiesa cattolica vuole tornare a essere la chiesa di Cristo, e magari in futuro non avremo più motivi per inquietarci o disprezzarla.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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