15 giugno 2015 08:57

Sarà la vicinanza geografica e culturale o la somiglianza tra i due contesti, ma resta il fatto che la Tunisia sta reinventando a suo beneficio il concetto di “compromesso storico” inventato in Italia negli anni settanta.

All’epoca, lo scacchiere politico italiano era dominato da due grandi forze, la Democrazia cristiana e il Partito comunista, politicamente divergenti, che non potevano prevalere l’una sull’altra e costrette a ricorrere al sostegno dell’avversario per governare il paese. Per questo i comunisti italiani decisero di sposare un comunismo nazionale, democratico e molto lontano dalle proprie radici ideologiche (“l’eurocomunismo”), mentre una parte della Democrazia cristiana si rassegnò all’idea di governare con loro.

Oggi a Tunisi sta accadendo esattamente la stessa cosa. Dopo aver vinto nel 2011 le prime elezioni libere dalla fine della dittatura, gli islamisti di Ennahda hanno perso lo scrutinio dello scorso autunno a beneficio dei laici. Questi ultimi controllano il parlamento e la presidenza della repubblica, ma alcuni islamisti ricoprono ancora incarichi governativi, e così al vertice dello stato è nato un dialogo discreto ma permanente sul percorso politico e la gestione della Tunisia.

Gli islamisti hanno scelto questo percorso perché hanno capito, durante il loro periodo al potere, che una maggioranza parlamentare non basta a imprimere una svolta a un paese spaccato in due. Davanti alla resistenza di parte della popolazione (soprattutto delle donne) hanno abbandonato l’ambizione di impostare la legge tunisina sulla sharia, e il loro capofila ha teorizzato la necessità di un “consenso” nazionale che vada al di là della vittoria elettorale. Questa evoluzione è stata accelerata dal completo fallimento degli islamisti egiziani, che malgrado una vittoria molto più netta di quella di Ennahda in Tunisia sono stati rovesciati dall’esercito con il consenso della popolazione.

Da questa situazione è nata la necessità di un compromesso storico con i laici, e ora gli islamisti tunisini vogliono affermarsi nel paesaggio politico come una forza della destra tradizionalista e religiosa mentre i laici hanno tutte le ragioni per accogliere questa ricerca del consenso.

Le condizioni economiche del paese sono così preoccupanti e gli scioperi talmente frequenti che i laici non potrebbero governare se gli islamisti alimentassero il malcontento sociale. Il caos della vicina Libia, dove i jihadisti continuano a guadagnare terreno, rappresenta una sfida drammatica alla sicurezza della Tunisia, che per affrontarla ha bisogno di ritrovare l’unità nazionale.

Fondato su una convergenza di interessi, questo compromesso sembra avere basi molto solide.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it