29 gennaio 2016 09:22

Con quattro giorni di ritardo rispetto alla data prevista, oggi cominciano a Ginevra i negoziati tra siriani. L’Onu ha forzato la mano inviando gli inviti per la conferenza, ma davvero possiamo coltivare una speranza di pace?

La risposta, purtroppo, è no, o almeno non ancora, perché davanti ai rappresentanti di Bashar al Assad ci saranno solo leader dell’opposizione tollerati dal regime, alcuni rispettabili e altri meno. L’insurrezione armata, quella con cui bisognerebbe parlare per trovare un compromesso indispensabile per portare la pace, non sarà presente a Ginevra, per quanto si fosse preparata all’appuntamento serrando i ranghi e formando una delegazione.

Un rifiuto prevedibile

Dopo giorni passati a valutare i pro e i contro, i ribelli hanno deciso il 28 gennaio di non presentarsi a Ginevra, perché non intendono avviare una trattativa con un regime che continua ad affamare le città prese d’assedio e a sganciare barili esplosivi sui quartieri residenziali. I ribelli hanno fatto presente che partiranno solo quando la situazione sul campo cambierà. Il problema è che al momento nessuno sa quanto bisognerà aspettare.

È più facile invocare questa lucidità strategica dall’esterno che sul campo

Il rifiuto dei ribelli non è una sorpresa. Dall’inizio della settimana sapevamo che la scelta finale sarebbe stata questa, anche se non è detto che sia la migliore dal punto di vista tattico.

Senza dubbio i ribelli avrebbero fatto meglio a recarsi a Ginevra per dire pubblicamente ai rappresentanti di Assad che il regime deve mettere fine a questa barbarie prima di sedersi al tavolo delle trattative, impegnandosi a restare a Ginevra pronti a cercare un compromesso una volta soddisfatte le loro richieste iniziali.

Ma questa lucidità strategica è più facile invocarla dall’esterno che sul campo, dove la cosa più importante è la fine dei bombardamenti e degli assedi.

In sé questi negoziati non dovrebbero portare a niente, e tra l’altro l’essenziale non è quello che accadrà a Ginevra, ma arrivare a un accordo tra Iran, Arabia Saudita, Russia e Stati Uniti, ovvero le potenze da cui dipende l’esito della crisi.

I sauditi non vogliono che Assad resti al potere perché per loro incarna il dominio di Teheran sulla Siria. Gli iraniani non intendono lavorare a un compromesso prima di risolvere le divergenze interne tra riformatori e conservatori. I russi non potranno continuare in eterno a sostenere il regime bombardando i ribelli perché lo stato della loro economia non glielo permette, mentre gli americani scommettono sull’ineluttabile passo indietro di Mosca per imporre un compromesso tra Washington e il Cremlino.

La situazione non spinge all’ottimismo, ma è ancora possibile che tutte le forze in campo si ritrovino a Monaco l’11 febbraio per tentare un riavvicinamento. Anche perché questa guerra è durata davvero troppo, per tutti.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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