15 febbraio 2016 09:49

La crisi siriana sfugge ormai a qualsiasi controllo e diventa sempre più inquietante. A questo punto esiste il pericolo reale di un’escalation, e il primo motivo è l’eterna questione curda, perché la Siria è uno dei quattro paesi dove viveva questo popolo senza terra prima che le frontiere tracciate dopo la prima guerra mondiale lo disperdessero nel resto della regione.

Come i loro cugini iracheni avevano approfittato delle guerre in Iraq per acquisire un’indipendenza di fatto, i curdi siriani vedono nei bombardamenti russi contro i ribelli un’occasione per assumere il controllo della frontiera settentrionale del paese, quella al confine con la Turchia.

Ognuno per la sua strada

Per questo sono passati all’attacco contro i ribelli, non perché siano solidali con il regime ma perché sono i ribelli a controllare i punti di transito verso l’Anatolia turca. Il regime di Damasco, naturalmente, ha tutto l’interesse a lasciare libero il campo alle milizie curde, mentre i russi hanno smesso di contrastarle proprio perché colpiscono la ribellione su questo fronte decisivo togliendo l’onere a Bashar al Assad.

I curdi stanno per conquistare il nord della Siria, ma la Turchia li bombarda sistematicamente dal 13 febbraio perché non intende permettere che il Kurdistan siriano conquisti la sua indipendenza a pochi chilometri dalle terre dove vivono i curdi turchi, con i quali la tensione continua a crescere da sei mesi.

Il conflitto siriano sta diventando un conflitto regionale con una potenza internazionale, la Russia, in prima linea

Dal punto di vista giuridico questi bombardamenti costituiscono un’aggressione contro la Siria, e per questo il regime si è rivolto al Consiglio di sicurezza dell’Onu parlando di una penetrazione di truppe turche nel suo territorio in soccorso dei ribelli. L’accusa è tutta da dimostrare, ma è abbastanza verosimile perché tutto lascia pensare che i paesi sunniti, Arabia Saudita e Turchia in testa, vogliano mobilitarsi per salvare i ribelli.

Gli aerei sauditi sono stati appena inviati in una base turca. Gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita pensano di dispiegare alcune truppe in Siria, ufficialmente per combattere il gruppo Stato islamico (ma è difficile che la ragione sia davvero questa). Intanto venti paesi sunniti partecipano dal 14 febbraio a improvvise manovre in Arabia Saudita, i cui leader hanno dichiarato che né l’Iran né la Russia riusciranno a salvare Assad. Come temevamo dopo i bombardamenti russi su Aleppo, il conflitto siriano sta diventando un conflitto regionale con una potenza internazionale, la Russia, in prima linea.

A prescindere dalle dichiarazioni del primo ministro russo Dmitrij Medvedev, non esiste il rischio di una terza guerra mondiale, e fortunatamente Barack Obama e Vladimir Putin si sono parlati il 14 febbraio. Ma resta il fatto che turchi e sauditi vanno per la loro strada e non obbediscono più al loro alleato americano, a cui rimproverano di non fare abbastanza per calmare i russi. La situazione, insomma, appare sempre più incontrollabile.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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