03 febbraio 2017 09:49

Trecentomila manifestanti in un paese di venti milioni di abitanti, come se in Francia manifestasse un milione di persone. È un dato eccezionale quello registrato in Romania. Trentasei ore fa tutte queste persone sono scese in piazza spontaneamente, di notte, per esprimere la loro indignazione e radunate attraverso i social network.

“I ladri lavorano la notte”, si sentiva dire nei cortei. Alla vigilia, la sera del 31 gennaio, il governo aveva infatti adottato un decreto per depenalizzare alcuni reati di corruzione che danneggiano lo stato per cifre inferiori ai 44mila euro. Questo significa che in Romania esistono piccoli abusi di potere su cui bisogna chiudere un occhio. È un’idea sconvolgente in sé, soprattutto in un momento in cui la gente, un po’ ovunque, non ha intenzione di tollerare chi approfitta della sua posizione. Il contesto romeno è particolarmente significativo.

Grazie a questo decreto il capo del partito socialdemocratico eviterebbe un processo per l’accuse di aver creato posti di lavoro fittizi. Tornati al potere dopo le elezioni di dicembre, i socialdemocratici, nati dal vecchio Partito comunista, si sono premurati di mettere il loro capo al riparo della giustizia. È stata una mossa inaccettabile, troppo arrogante in un paese dove la piccola e la grande corruzione sono endemiche.

La denuncia è diventata una causa nazionale, sostenuta dalla Commissione europea e i cui eroi sono i magistrati che non esitano più ad attaccare i potenti. Forza dominante del post-comunismo e sostenuta da una solida base sociale nelle campagne, tra i ceti popolari e anche nel mondo dell’imprenditoria, il Partito socialdemocratico non ha capito che in Romania non si può più agire impunemente, anche se si detiene il potere.

Una nuova esigenza democratica
Un ministro ha rassegnato le dimissioni. Il capo dello stato, un conservatore molto rispettato, si è unito alle proteste e si è rivolto alla corte costituzionale, di cui si attende il verdetto. L’indignazione è diffusa, ma dal punto di vista giuridico il decreto è inattaccabile, per quanto sia discutibile il contesto politico in cui è stato approvato.

Il governo non intende cedere perché non esistono motivi legali per farlo, ma dal punto di vista politico qualcosa sta cambiando in Romania, paese entrato nell’Unione da un decennio, caratterizzato da una crescita sostenuta e dove i giovani e le classi medie non vogliono più che la democrazia sia “adattata dopo essere stata adottata”, come mi ha detto il 2 febbraio un amico rumeno.

In questo stato in piena mutazione sta emergendo una nuova esigenza democratica. Nelle manifestazioni, ricominciate il 2 febbraio, c’era tanta fierezza e tanta indignazione ma anche un senso di solitudine, perché, come ha scritto il grande Mircea Cărtărescu, “l’Europa ha i suoi problemi e l’America non è più l’America”. Nel senso che l’America ora è l’America di Donald Trump.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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