08 giugno 2017 11:03

Quando non è a Londra o davanti a Notre-Dame, capita a Teheran. Il 7 giugno il gruppo Stato islamico (Is) ha colpito nella capitale iraniana con un doppio attentato, al parlamento e nel mausoleo dell’imam Khomeini, il luogo più sacro del regime dove riposa il suo fondatore.

Il messaggio è chiaro: tutti quelli che si oppongono a questo movimento, direttamente come gli occidentali e i paesi sunniti o indirettamente come l’Iran sciita che sostiene militarmente e finanziariamente Bashar al Assad, si espongono alle conseguenze, sempre più inevitabili da quando l’Is è sulla difensiva.

Mosul, la città che i jihadisti avevano trasformato nella loro capitale irachena, è vicina alla resa. Raqqa, la capitale siriana, subisce dal 5 giugno un’offensiva di terra condotta dalle milizie curde e arabe appoggiate dagli aerei della coalizione arabo-occidentale. Con le spalle al muro, l’Is è vicino alla sconfitta (ormai è questione di mesi) e per questo cerca di seminare il panico tra i suoi avversari nella speranza che l’opinione pubblica europea si ribelli costringendo i capi di stato a deporre le armi.

Una strategia disperata
Non funzionerà. Al contrario, con la barbarie dei suoi attentati l’Is sta rafforzando la determinazione di tutti quelli che lo combattono. Già adesso possiamo trarre diverse conclusioni da questa strategia disperata di un’organizzazione destinata a perdere la sua guerra.

La prima è che, diversamente da quanto continuano a sostenere Donald Trump e i paesi sunniti guidati dall’Arabia Saudita, l’Iran non è uno stato terrorista. Teheran è la prima delle forze destabilizzanti del Medio Oriente, di cui vorrebbe diventare la potenza dominante. L’Iran agita e organizza le minoranze sciite della regione, prima di tutto in Libano, per proiettarsi al di là delle sue frontiere. Attraverso il suo sostegno a Bashar al Assad, il governo iraniano è il primo responsabile dell’importanza del dramma siriano. Insomma possiamo rimproverare molte cose agli iraniani, ma non certo un appoggio all’Is, movimento sunnita a cui Teheran si oppone nettamente e che ha appena colpito la capitale del paese.

Questa gente fa male e continuerà a farlo ma sono solo soldati allo sbando di un esercito in rotta

La seconda osservazione che possiamo fare è che l’Is oltre a essere in crisi nei paesi mediorientali, sta anche perdendo la sua forza di attrazione politica e le sue capacità logistiche. Come altro considerare un movimento che recluta soltanto sbandati armati unicamente di veicoli da lanciare contro i passanti, coltelli e martelli?
Questa gente fa male e continuerà a farlo, a un ritmo sfortunatamente sempre più sostenuto, ma sono solo soldati allo sbando di un esercito in rotta.

L’Is non ha più la forza di un tempo. Questo significa che presto il Medio Oriente potrebbe uscire dal caos?

La risposta sarebbe sì se l’Is fosse il problema principale, ma non è questo il caso. Per quanto sanguinario e ignobile, il gruppo Stato islamico è solo un epifenomeno marginale della rivalità tra le due correnti dell’islam, sciita e sunnita, e dei loro principali paladini, Iran e Arabia Saudita. È questa la vera guerra, e purtroppo è appena cominciata. In questo momento tutto lascia pensare che potrebbe durare cent’anni, spaventosa come le guerre di religione che in passato hanno dilaniato l’Europa.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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