13 febbraio 2018 16:20

Il 15 febbraio il capo della diplomazia statunitense Rex Tillerson è atteso in Turchia, paese che fa parte della Nato da settant’anni. Turchi e americani dovrebbero essere grandi amici, eppure Ankara si è riavvicinata alla Russia, alleata di Bashar al Assad, perché teme che la divisione della Siria favorisca la nascita di un Kurdistan indipendente, che a sua volta potrebbe risvegliare l’irredentismo dei curdi turchi.

Questa paura è talmente forte che la Turchia ha inviato il suo esercito in Siria per attaccare le milizie curde siriane, le stesse che sono alleate degli Stati Uniti e hanno avuto un ruolo di primo piano nella vittoria contro il gruppo Stato islamico (Is).

Per mettere in chiaro le cose, tra l’altro, i turchi si preparano a cambiare nome alla strada che ospita l’ambasciata americana ad Ankara chiamandola “ramo d’olivo”, lo stesso nome dell’operazione militare in Siria contro i curdi alleati degli americani.

Alleanze rovesciate
Non è tutto. Nonostante le milizie curde attaccate dai turchi facciano parte dell’opposizione armata contro il regime di Damasco, l’esercito di Assad permette che convergano verso la regione di Afrin, minacciata dall’avanzata turca.

Ma perché Assad sostiene i suoi nemici contro la Turchia, che teoricamente dovrebbe essere un suo alleato? Perché il macellaio di Damasco rimprovera ai turchi di continuare a sostenere alcuni elementi dell’insurrezione armata per costringerlo ad accettare un compromesso politico con l’opposizione.

Sembra che tra Teheran e Riyadh sia in corso una gara a chi è più moderno

Il 9 febbraio, inoltre, lo studioso e ambientalista iraniano Kavous Seyed Emami (accusato di spionaggio) è morto in prigione. Si parla di suicidio, ma già quattro associazioni accademiche hanno scritto al presidente della repubblica Hassan Rohani per chiedergli di scoprire la verità. Non si era mai visto. Gli universitari si comportano come se vivessero in una società democratica. Dopo le manifestazioni di fine anno contro il carovita, tutto sembra improvvisamente possibile in Iran.

Questo però non è nulla rispetto alla situazione dell’Arabia Saudita, dove il giovane principe ereditario vuole rafforzare la monarchia attaccando i giovani e le donne, al punto tale che un dignitario religioso ha appena dichiarato alla radio che indossare l’abaya, la tunica nera che indossano le donne saudite, non è da considerarsi obbligatorio, è sufficiente un abbigliamento modesto. Come se tra Teheran e Riyadh fosse in atto una gara a chi è più moderno.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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