15 marzo 2018 14:47

“Gerasimov consiglia a Washington di non lanciare missili su Damasco”. Valerij Gerasimov è il capo di stato maggiore dell’esercito russo e questo titolo è apparso il 14 marzo sulla prima pagina del grande quotidiano Kommersant.

Secondo il giornale, Mosca è convinta che siano in programma falsi attacchi chimici contro la regione di Ghuta per poi imputarne la responsabilità al regime siriano e aprire la strada verso un bombardamento dei ministeri di Damasco, dove tra l’altro lavorano molti russi.

Il generale Gerasimov ha parlato di “rappresaglie contro i missili e contro chi li dovesse lanciare”. Mai nella storia l’esercito russo aveva manifestato l’intenzione di colpire i soldati americani. Naturalmente questo non significa che lo scontro avverrà né che stiamo andando in quella direzione. Ma dov’era il 14 marzo il candidato Putin?

Esaltazione nazionalista
Era in Crimea, regione annessa quattro anni fa (l’anniversario ricorre il 18 marzo, nella giornata delle presidenziali russe), per complimentarsi per la velocità con cui gli operai stanno costruendo il ponte che collegherà la penisola alla Russia.

Il presidente ha parlato di “vera democrazia” a proposito del referendum che ha sancito l’annessione, che secondo Putin ha “ristabilito la giustizia storica”. A questo punto sembra che il Cremlino voglia inaugurare il ponte (prima ancora del suo completamento) il prossimo 9 maggio, in modo da far coincidere la cerimonia con l’anniversario della vittoria contro la Germania nazista, il 9 maggio del 1945.

In piena campagna elettorale, la Russia mostra i muscoli, minaccia gli Stati Uniti, si vanta di aver vendicato la perdita del suo impero recuperando un territorio che in passato le apparteneva e collega questa riconquista alla sua vittoria nella seconda guerra mondiale. A quanto pare Putin sta puntando tutto sull’esaltazione nazionalista, anche perché non si è mai presentato ai raduni e non ha fatto alcuna promessa.

Politicamente malinconica, questa campagna elettorale è sostanzialmente militarizzata, perché dopo 18 anni al potere (direttamente o indirettamente) Putin non ha altro risultato da vantare se non il ritorno della Russia sulla scena internazionale, dove si è lanciata in una doppia missione di conquista, da una parte in Ucraina (perduta 27 anni fa) e dall’altra in Medio Oriente, da dove Mosca è assente da ancor più tempo.

A dirla tutta sono successi quantomeno discutibili, perché Putin si è messo nelle mani degli iraniani in Siria e non può avanzare né arretrare in Ucraina, ma sono comunque gli unici che può vantare, perché per il resto il tasso di povertà in Russia ha ricominciato a salire, le infrastrutture (comprese quelle mediche e scolastiche) sono in uno stato pietoso e lo stato è uno dei più corrotti del mondo.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it