02 febbraio 2016 16:37

Le piazze di SvegliaItalia due sabati fa, quella del Family day sabato scorso: è possibile che l’Italia sia così divisa in due, spaccata in modo lacerante? È possibile che ci sia una contrapposizione tanto assoluta tra due movimenti che chiamiamo con brutta approssimazione “per i diritti civili” e “per la famiglia tradizionale”? Due comunità vaste, trasversali nella società, che si dichiarano entrambe piene di attenzioni per la genitorialità, l’educazione, i figli, così desiderose di difendere le relazioni, i sentimenti, e che però poi si accusano reciprocamente: di perversione e individualismo esasperato da una parte; di omofobia e arretratezza medievale dall’altra.

È possibile, mi chiedo ogni volta che il dibattito su questi temi torna al centro dell’agenda politica, che non si sia trovato un linguaggio migliore, una maggiore mutua conoscenza per esprimere il conflitto tra queste due visioni antagoniste? Perché sono di fatto assenti in questo dibattito i cattolici democratici e occupano la scena iniziative come quelle del Pirellone illuminato o il rito delle sentinelle in piedi? Perché per i militanti lgbt spesso la chiesa cattolica è una solo una buffa congerie di stupidi tartufi da antico regime?

Discussione senza passi avanti

Eppure, per fare il primo esempio, a leggersi per intero la prolusione ufficiale che la Cei ha emanato nei giorni passati per voce del cardinale Bagnasco – quella per capirci dove si ribadiva chiaramente che “i bambini hanno diritto di crescere con un papà e una mamma” – si trovano anche varie affermazioni molto progressiste su altri temi, dal reddito di inclusione all’accoglienza ai migranti, su cui probabilmente convergerebbe una gran parte di chi è sceso in piazza con le bandiere arcobaleno. Perché invece sulla trasformazione della famiglia una gran parte della chiesa non è disposta a ripensarsi?

Non è solo nel mondo cattolico più retrivo che il dibattito sul rapporto tra chiesa e omosessualità è così poco qualificato. Non esistono, per esempio, inchieste ufficiali, studi scientifici che abbiano fatto scuola, saggi storici di riferimento su cui poter innestare un confronto serio; confronto che quindi comincia ogni volta da capo, alimentato da dichiarazioni estemporanee, sondaggi shock, prese di posizioni personali: ogni tanto c’è un’inchiesta che sostiene che nella chiesa il 30 per cento del clero è gay, qualche sacerdote magari fa coming out, ma la discussione non fa passi avanti.

Il catechismo ufficiale della chiesa cattolica recita espressamente che:

Appoggiandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni, la Tradizione ha sempre dichiarato che ‘gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati’. Sono contrari alla legge naturale. Precludono all’atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati.

Tutti i pronunciamenti ufficiali della chiesa, dagli ultimi papi fino ai gradi più bassi della gerarchia ecclesiastica, hanno avuto l’arduo compito di ribadire questa posizione, ma al tempo stesso di condannare l’omofobia. Perché, come è scritto nel passaggio successivo del catechismo:

Questa inclinazione, oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte di loro una prova. Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione.

E sembra che tanto basti a chiudere la partita.

Negli ultimi quarant’anni – dall’uscita di due tra i pochi libri che spesso sono citati, The church and the homoxesual di John McNeill (1976) e The church and the homosexual: an historical perspective di John Boswell (1980) – le opinioni si sono polarizzate ancora di più. C’è una parte della chiesa che s’interroga sul tema e tenta un approccio innovativo non solo dal punto di vista culturale, ma anche teologico. C’è un’altra parte che prova intervenire con una pastorale apposita: forme di pedagogia e di psicanalisi di “eterosessualizzazione”. In mezzo, alcune – poche – voci più riconosciute che segnalano l’importanza di un confronto laico. In Italia, in tempi recenti, Enzo Bianchi priore della comunità monastica di Bose o il cardinale Carlo Maria Martini: voci che rischiano di essere alla fine solo testimoniali.

Di fatto, pur essendo una questione così capace di dividere, sembra che a pochi interessi sfidarsi fino in fondo anche su un terreno teorico.

Un problema che riguarda chiunque

Qualche anno fa lessi un paio di libri che non potevano essere più distanti. Il primo, tradotto da San Paolo Edizioni, l’aveva scritto Joseph Nicolosi, fondatore della Narth (National association for research and therapy of homosexuality) e padre della cosiddetta terapia riparativa, una pratica psicologica molto discutibile che permetterebbe agli omosessuali di riacquisire un’identità eterosessuale. S’intitola Oltre l’omosessualità ed è un libro molto utile per provare a comprendere il radicalismo cattolico del Family day senza rubricarlo direttamente nell’idiozia reazionaria.

La teoria di Nicolosi – in Italia ha avuto un po’ di pubblicità dalla canzone sanremese di Povia Luca era gay pare interessare solo i maschi e schematicamente è questa:

Gli omossesuali soffrono di una sindrome di deficit di identità di genere maschile. È questo senso interiore di incompletezza della propria mascolinità che rappresenta il fondamento essenziale dell’attrazione omoerotica. […] Il cliente spesso capisce che sua madre, se da un lato è stata molto amorevole, probabilmente non è riuscita a riflettere in modo adeguato l’identità maschile autentica del figlio.

Madri troppo presenti, padri assenti e inadeguati, mancanza di amici dello stesso sesso in grado di aiutare a definire l’identità sessuale: queste le cause, le concause. La terapia secondo Nicolosi funziona cercando di recuperare questi deficit: la rielaborazione delle ferite infantili inferte all’identità maschile, l’incoraggiamento verso un’amicizia maschile che implichi condivisione ma senza attrazione fisica. La terapia si muove all’opposto delle terapie di affermazione gay, ossia dei percorsi di analisi, di consulenza che permettono agli omosessuali repressi, insoddisfatti, problematici, di fare coming out e di vivere in libertà le loro relazioni omosessuali.

La manifestazione a favore delle unioni civili a Roma, il 23 gennaio 2016. (Simone Cerio)

Se ovviamente alla Narth non diamo nessuna credibilità scientifica, è comunque utile leggere i casi di gay infelici che Nicolosi elenca – uomini sposati che cercano flirt con diciottenni, ragazzi incapaci di costruire legami minimi, mariti dipendenti dalla pornografia e da una sessualità adultera compulsiva, personalità patologicamente introverse. Sembra proprio che il problema di tutte queste persone non sia la loro omosessualità, ma la difficoltà a creare relazioni affettive e sentimentali sincere e durature. Un problema che, come dire, oggi finisce col riguardare un po’ chiunque.

Mi pare fruttuoso insomma prendere quello che scrivono Nicolosi e gli altri paladini della cosiddetta famiglia tradizionale più come una sintomatologia che come un’interpretazione e rileggere la crociata contro l’omosessualità del Family day come la reazione scomposta di una comunità di fedeli preoccupati per la fragilità dei legami affettivi che vede nelle unioni civili e nella difesa dei diritti degli omosessuali un ulteriore segno di indebolimento.

Si potrebbe tentare però di porgli una domanda semplice: ma è davvero così? Non sembra effettivamente il contrario? Non è innegabile che i sostenitori delle unioni civili o dei matrimoni gay vogliono, chiedono, di assumersi più responsabilità e impegno, sia nei confronti del partner sia nei confronti dei figli?

Se pure vogliamo dire che c’è stata una crisi dei valori generalizzata che ha messo in discussione radicalmente istituzioni con l’iniziale maiuscola come la Famiglia o la Chiesa, è vero anche che quello che è venuto fuori non è la dissoluzione morale. Non viviamo in un’era di libertinaggio sfrenato e di immoralità diffusa. Piuttosto assistiamo a una richiesta di riconoscimento di nuove forme di morali: magari provvisorie, magari in costruzione, magari da esplorare, ma indiscutibilmente morali.

Si può scorgere nella manifestazione del Family day un evidente desiderio di politica che non trova una forma di ascolto a sinistra

La maggioranza dei genitori che affollavano le piazze dello SvegliaItalia e quelle del Family day sarebbe sicuramente d’accordo nel ritenere un valore centrale la stabilità nelle relazioni tra partner come l’affidabilità dei genitori rispetto ai figli. Per dirla in modo un po’ paradossale, stanno cercando di reagire alla stessa crisi, anche se da prospettive incompatibili.

La manifestazione del Family day a Roma, il 30 gennaio 2016. (Andrea Sabbadini, Buenavista photo)

Ma c’è un aspetto ulteriore che non riguarda solo la morale. Come faceva giustamente notare sul suo blog Costanza Jesurum, se si fa la tara al linguaggio da crociata dei partecipanti al Family day, si può scorgere nella manifestazione del Circo Massimo un evidente desiderio di politica che non trova una forma di ascolto a sinistra. Perché insieme alle grandi istituzioni del novecento è venuto giù anche il welfare formale e informale che le sosteneva. La tutela dei valori tradizionali, di una famiglia composta da una mamma e da un papà non può essere letta anche come la reazione alla distruzione dello stato sociale? La piazza antiCirinnà non può essere allora interpretata al pari di altri populismi contemporanei anche come l’espressione di un ceto medio impoverito e impaurito che cerca nel baluardo della famiglia tradizionale anche una protezione sociale?

Una pastorale per gli omosessuali

Il secondo libro che lessi qualche anno fa s’intitolava Fede contro il risentimento. L’aveva pubblicato Transeuropa e l’aveva scritto James Alison, un teologo domenicano gay dichiarato e militante, sospeso a divinis come molti dei sacerdoti che cercano di elaborare una pastorale per gli omosessuali.

Alison fa due operazioni molto coraggiose. La prima offre un’interpretazione differente dei famosi passi della Bibbia dai quali si evince spesso la condanna dell’omosessualità:

Non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non illudetevi: né immorali, né idolàtri, né adùlteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il regno di Dio.

Quando san Paolo tuona così nella lettera ai Corinzi lo sta facendo davanti a una comunità come quella di Corinto in cui molte persone praticavano orge e sfruttavano la prostituzione e lo facevano come atti religiosi, di avvicinamento a qualche dio.

A comporre diversi passi delle lettere di san Paolo, si arriva a capire, secondo Alison, che l’apostolo è il difensore di una fede rivoluzionaria che però non incoraggia una morale libertina come potevano attendersi molti dei suoi ascoltatori al tempo. Per questo insiste così tanto sul buon uso del corpo, sull’importanza delle relazioni, e su un amore che sia caritas.

Indipendentemente però da quanto sia persuasiva la sua interpretazione, ad Alison come a chi prova a modulare il dibattito con questi argomenti e con questi toni va concessa una possibilità. “Il mio”, scrive, “è un tentativo di parlare di argomenti gay all’interno della chiesa in una maniera tale per cui quello che dico sia passibile di essere discusso ed eventualmente contestato”.

La manifestazione a favore delle unioni civili a Roma, il 23 gennaio 2016. (Simone Cerio)

La chiesa che immagina Alison è una chiesa certo accogliente con i gay, ma soprattutto è una chiesa di persone responsabili, culturalmente consapevoli. La stessa a cui aspirano molti sacerdoti e molti cattolici.

All’indomani del Family day è girato molto nella rete dell’attivismo cattolico il post su Facebook di Paolo Scquizzato, un prete del Cottolengo di Torino:

Mi vergogno di far parte di questa Chiesa in certi momenti… Non mi ci riconosco, perché anti evangelica, perché infinitamente lontana da quel Gesù che non ha mai cercato lo scontro, non ha mai invitato a lottare per imporre le proprie idee, non ha mai imposto il bene, semplicemente perché il bene imposto s’incancrenisce sempre in una forma subdola di dittatura, perché come in tutte le ideologie, alla fine, diventa più importante l’idea che l’uomo in carne ed ossa. Oggi la famiglia, così com’è intesa da molti di questi cattolici ‘duri e puri’, destrorsi e reazionari, è solo ‘un’idea’ di famiglia, che pur di vederla affermata e riconosciuta son disposti a sacrificare l’uomo concreto, di calpestarne i diritti e la sua libertà.
L’unica ‘Gloria di Dio’, affermata nel Vangelo, è l’uomo, e questo realizzato, felice, libero di compiere quelle scelte che in coscienza crede possano condurlo al compimento del proprio cuore e quindi del proprio essere persona.
L’uomo del nostro tempo – diceva il grande Bonhoeffer – è ormai diventato adulto. Non necessita di prediche, ammonimenti, ammaestramenti, su come vivere e su cosa scegliere, lo sa benissimo.

Prese di posizione come queste mostrano quanto si riproduca anche all’interno dell’universo cattolico stesso un contrasto molto forte, ed è quello che stato raccontato da tutti i vaticanisti in questi giorni – qui su Internazionale da Francesco Peloso, da Massimo Faggioli sull’Huffington Post, da Sandro Magister sull’Espresso, da Antonio Socci sul suo blog Lo Straniero – ed è quello tra chi fa politica ancora come è stata fatta per almeno un decennio, insistendo sui “valori non negoziabili”, e chi ha spostato il centro dell’impegno politico su altro: la lotta contro la povertà in primis.

È un fatto che l’Osservatore Romano non abbia fatto cenno al Family day né il giorno stesso né all’indomani della manifestazione, e che papa Francesco non abbia rilasciato nessuna dichiarazione, né fatto un saluto alla piazza, né un cenno all’angelus della domenica.

Ma che ci siano fronti contrapposti, l’un contro l’altro armati, anche tra i credenti, non è una buona notizia. Quanto l’ennesimo segnale di un’assenza di spazi di discussione politica aperti, la mancanza di un confronto laico e profondo su temi come quello dei diritti, della sessualità, della famiglia, dell’essere genitori, ma anche una riflessione su cosa vuol dire oggi essere cristiani e cittadini, sul ruolo profetico della chiesa.

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