08 ottobre 2018 14:31

Non saper suonare uno strumento è un mio grande rimpianto e lo scorso anno ho spinto mio figlio a prendere lezioni di pianoforte. Quest’anno non vuole continuare e non so come convincerlo che sta rinunciando a un’occasione bellissima. –Renata

Io odio il calcio. Lo trovo noioso come gioco, insopportabile come programma tv e deleterio come fenomeno sociale. L’ho sempre visto come un percorso obbligato per maschi, che fin da piccoli sono spinti a giocare a pallone, parlare di calcio mercato e dedicare alla squadra del cuore quella poca passione che la società permette agli uomini etero di esprimere. Tornati in Italia, ho provato un certo orgoglio quando mio figlio di sei anni dopo il suo primo giorno di scuola mi ha chiesto: “Papà, cos’è la Juve?”.

Il mio snobismo, però, si è presto scontrato con una constatazione ineluttabile: che a me piaccia o no, in questo paese la socialità dei bambini maschi passa dal calcio e, anche senza andare allo stadio ogni domenica, per un ragazzino è importante saper dare due calci al pallone. Così ho iscritto mio figlio a un corso di calcetto. Io odio il calcio e tu adori il pianoforte, ma c’è qualcosa che ci accomuna: entrambi tendiamo a proiettare troppo le nostre passioni sui figli. Nel mio caso superare il mio egocentrismo ha significato fare un passo avanti, nel tuo sarebbe fare un passo indietro. Non è una buona idea obbligare un bambino a studiare il pianoforte controvoglia. Mentre niente vieta che sia tu a cominciare a farlo, liberandoti di un rimpianto che forse ti porti dietro da troppo tempo.

Questa rubrica è uscita il 5 ottobre 2018 nel numero 1276 di Internazionale, a pagina 12. Compra questo numero | Abbonati

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