04 aprile 2017 16:19

Dostoevskij diceva che ci sono cose elevate di cui, in certe circostanze, siamo disposti a ridere in pubblico tanto per sentirci gente di mondo, ma di cui, dentro di noi, assolutamente non riusciamo a ridere. Questa doppiezza sta cedendo. Per esempio, sugli interventi di Bergoglio in principio veniva di fare dell’ironia, ma adesso, vogliamo scherzare? Non c’è politico, in tutto il pianeta, che possa reggere il confronto con lui.

Si pensi a come la settimana scorsa questo papa sconciliatore ha saputo raccogliere il popolo di dio intorno ai grandi temi, ignorando qualsiasi tipo di muro a partire da quelli delle prigioni e riuscendo perfino a fare pipì quasi in pubblico, senza temere i black bloc. Si pensi invece a come, in parallelo, i papà del nulla di fatto in Unione europea si sono barricati atterriti dai loro stessi popoli, mentre i mezzi d’informazione giustificavano l’autoreclusione diffondendo terrore più del gruppo Stato islamico.

Insomma va crescendo un bisogno di elevatezza quotidiana. Da parecchio atei e materialisti spirituali maneggiano lingue e testi sacri intuendo che, anche qui da noi, il mondo secolarizzato sta per tornare nelle mani degli dei. Ma ora si avverte in giro qualcosa in più: una nostalgia, un bisogno crescente di sentirsi dentro progetti di ampio respiro foss’anche religiosi. È un’urgenza di ragioni alte che se la tribuna politica non sa più offrire, be’, il pulpito sta lì apposta.

Questa rubrica è stata pubblicata il 31 marzo 2017 a pagina 14 di Internazionale. Compra questo numero| Abbonati

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it