30 ottobre 2018 17:05

È sempre sorprendente scoprire che la scuola e l’università si sfasciano appena noi portiamo a termine gloriosamente i nostri studi. Se oggi, per esempio, parlate con un ottantenne, vi dirà che tutto funzionava alla grande fino ai primi anni sessanta, quando ha finito di studiare lui; poi è arrivato il sessantotto ed è cominciato lo sfascio.

Voi naturalmente non vi stupite, si tratta di una persona anziana che tesse le lodi del tempo che fu. Vi stupisce invece che un sessantenne vi dica che ai tempi suoi, sessantotto o no, ha fatto ottime serissime scuole. E ancor più stupefacente è che un cinquantenne, un quarantenne, perfino un trentenne – come a dire Salvini, Di Maio – lodino il rigore di quando sono stati studenti. Possibile? E allora in quali anni è cominciata la decadenza del nostro sistema formativo? Con la “buona scuola”? O tra i banchi tutto è stato sempre meraviglioso, dalla legge Casati a oggi, a dispetto delle male lingue?

Né l’una né l’altra cosa. Con tutta probabilità dir male dell’istruzione degli altri è facile, mentre è penoso ammettere che, perfino se gli insegnanti ci premiavano, noi, come tutti, abbiamo fatto brutte scuole. Di fatto significherebbe mettere in discussione la nostra formazione professionale, forse noi stessi. Eppure proprio ripensare criticamente il nostro percorso di studio dovrebbe essere il primo fondamentale passo per migliorare scuola e università.

Questo articolo è uscito il 19 ottobre 2018 nel numero 1279 di Internazionale, a pagina 12. Compra questo numero| Abbonati

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