19 agosto 2013 16:57

Elaborare il lutto. È ormai il compito del centrodestra italiano dopo vent’anni di protagonismo assoluto di Silvio Berlusconi sulla scena politica. La sentenza della corte di cassazione ha messo il punto finale giudiziario su un parabola già da tempo in declino dal punto di vista politico.

Se non ci fossero stati gli errori madornali della sinistra, l’esperienza politica del Cavaliere sarebbe già stata sepolta nel 2006. Da allora, quasi nessuno crede più davvero che Silvio Berlusconi possa essere il riformatore liberale e liberista, il modernizzatore del paese o l’imprenditore dell’Italia che aveva promesso nel 1994 e nel 2001. Gli avversari gli hanno regalato sette anni di vita sia regalandogli la vittoria nel 2008 sia, nelle elezioni del 2013, lasciandoli la possibilità di presentarsi come l’unico candidato che prometteva un futuro senza le lacrime e il sangue dell’austerità. Proposte irragionevoli che rischiavano di portare l’Italia fuori dell’Europa? Certo, ma con un spirito positivo che è ovunque la base fondamentale per qualsiasi vittoria elettorale.

A primavera questa campagna non ha funzionato al punto da permettergli di sognare di tornare al potere (avendo perso sei milioni di voti), ma gli ha concesso di rimobilitare i suoi elettori tradizionali, di limitare i danni e di rimanere in campo. Ma si tratta pure sempre di sopravvivenza nell’attesa dell’epilogo finale, il cui orizzonte si è avvicinato con il verdetto della cassazione. Silvio Berlusconi aveva scommesso sul governo di larghe intese per tentare la via della “pacificazione”, cioè della speranza di una improvvisa benevolenza dei giudici o di un scudo politico. È successo esattamente il contrario. A tal punto che probabilmente, senza il governo delle larghe intese di Enrico Letta, sarebbe stato difficile arrivare a un condanna definitiva del Cavaliere. Un governo di centrodestra avrebbe fatto di tutto, con leggi

ad personam, per evitare di raggiungere un verdetto definitivo. E un governo di sinistra non avrebbe retto a una condanna, e quindi a un’eliminazione dalla scena politica, di quello che sarebbe stato il principale leader dell’opposizione.

Ma al di la della politica-fiction, c’e ormai un dato incontrovertibile: salvo interventi di natura divina (che forse solo una sinistra autolesionista sarebbe in grado di compiere), Silvio Berlusconi non tornerà più a palazzo Chigi e mai e poi mai potrà sognare un giorno di sedersi nella poltrona di capo del Quirinale. In una situazione classica, la priorità del centrodestra sarebbe di pensare al dopo. Cioè a come e con chi sostituire un vecchio leader - 77 anni a settembre - condannato dalla giustizia e ormai incapace di riportare i suoi alla vittoria. In queste condizioni, sorge spontanea la domanda: perché nessuno nel centrodestra si è fatto avanti per “ammazzare” il padre?

Sicuramente perché lui è ancora in grado di nuocere sia dal punto di vista politico sia da quello economico e mediatico grazie al suo impero e al suo conflitto d’interessi. Ma anche perché i potenziali leader del centrodestra si sono accontentati di vivere all’ombra del Cavaliere e non hanno, in tutti questi anni, maturato una visione e un progetto per il paese. Non riescono ancora a immaginare un dopo Berlusconi, fino addirittura a pensare di prolungare artificiosamente la parabola con la carta Marina. Insomma, non si rassegnano ancora a elaborare il lutto di un mattatore che ha saputo dominare il campo per vent’anni. Anche l’opinione pubblica e la stampa faticano a pensare il nuovo ed il prossimo futuro. Lo dice uno che ha calcolato che in vent’anni di corrispondenza a Roma, avrà scritto circa 200mila volte la parola Berlusconi.

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