26 marzo 2019 13:36

Un giovane soldato si muove smarrito sul brullo campo di battaglia dove giacciono cavalli morti, cannoni e carri sfasciati o bruciati, quasi roteando su se stesso mentre suona la tromba e le grida, gli spari, il rumore dei lanci di cannone sembrano quasi eco lontane. Una lenta carrellata sul volto del giovane soldato ne esprime tutto il disorientamento. Segue un’inquadratura fissa dove un paesaggio filmato come in sezione mostra una vasta landa di erba dal verde intenso in cui si stagliano solitarie e stanche silhouette di soldati che camminano faticosamente mentre un fondo musicale esprime una delicata sonorità malinconica, laconica, se non triste. Pare il rientro mesto di un esercito sconfitto quello uscito invece vincitore nella battaglia di Waterloo che segnò la fine di Napoleone Bonaparte.

Così il regista britannico Mike Leigh sceglie di rappresentare la vittoria militare in Peterloo, anticipando in quella sequenza simbolica il “massacro di Peterloo”, come fu poi denominata la strage di pacifici ceti popolari che rivendicavano i loro diritti a Manchester nel 1819. Presentato con successo all’ultimo festival di Venezia, prodotto dagli Amazon Studios, il film di Leigh approda ora nelle sale italiane. È un film che ci riguarda tutti, che parla del passato per meglio parlare del presente. Il regista, nato nei pressi di Manchester, afferma che pur essendo quest’episodio fondamentale nella storia britannica, è del tutto assente dai libri di storia scolastici.

Uno scontento crescente
Dopo la guerra contro Napoleone lo scontento è forte in tutta l’Inghilterra dove regna il principe reggente e futuro re Giorgio IV. In modo particolare nel nord del paese a causa delle corn law, le leggi sul grano pensate per proteggere la popolazione e i produttori britannici, che imponendo dazi sul grano importato di fatto peggiorarono le cose provocando un aumento del costo del cibo.

La gente fu infatti costretta ad acquistare il grano inglese a prezzi più alti ma di qualità inferiore causando, tra l’altro, un susseguirsi di periodi di carestia. Stanchi di una rappresentatività fittizia, per via del fatto che i proprietari terrieri dominavano il parlamento, nei ceti popolari, in particolare tra gli operai delle industrie tessili, crescono il malcontento e soprattutto il desiderio di essere rappresentati degnamente alla camera dei comuni, prima ancora di tasse o norme economiche più eque.

MIKE LEIGH RACCONTA UNA SCENA DI PETERLOO


Il proprietario terriero ma fortemente riformatore Harry Hunt, grande oratore, raduna folle di oltre centomila persone a Londra. Ben presto, dagli intellettuali progressisti locali e dai membri dei comitati popolari, nasce l’idea di invitarlo a parlare anche a Manchester. Il panico si diffonde tra i ricchi borghesi come nella polizia anche perché tutti sono convinti che vogliano abbattere la corona come in Francia, mentre così non è, tranne per qualche elemento fortemente minoritario. Il tutto culmina appunto nel raduno di St. Peter’s Field (dalla cui fusione tra Peter e Waterloo nasce il rovesciamento polemico Peterloo, che fu fatto all’epoca da un giornalista e che, ovviamente, dà anche titolo al film).

Malgrado l’assoluta connotazione pacifica del raduno, dove accorsero almeno sessantamila persone, la manifestazione, alla quale parteciparono moltissime donne, bambini, vecchi – intere famiglie – fu repressa nel sangue. Morirono 15 persone, tra cui una donna e un bambino, ne furono ferite circa 600, spesso gravemente. Furono bloccate tante delle vie di fuga. Hunt fu arrestato, così come praticamente chiunque si trovasse sul palco. Compresi i giornalisti, e questo fu l’errore forse maggiore, perché riportarono l’accaduto non solo i molti giornali progressisti ma anche il Times di Londra, quotidiano conservatore, il cui inviato era stato arrestato insieme agli altri. Lo scandalo fu grave. E si ritiene che quei fatti abbiano portato al lento processo di origine, cento anni dopo, del suffragio universale, oltre che alla nascita di giornali come The Guardian.

Sapiente ricostruzione storica
Del resto, il film indugia non poco sui giornalisti del progressista e radicale Manchester Observer, mostrati nella loro dedizione e nel loro coraggio, oltre che per il ruolo che ebbero nel far arrivare Hunt a Manchester. Guardando alla struttura del film, il regista, nella sapiente e articolata ricostruzione storica, lavora su due livelli, assolutamente complementari.

Da un lato vediamo un popolo che si vuole emancipare, che non si limita solo a borbottare o urlare invettive, ma assistiamo alla sua progressiva acquisizione di consapevolezza democratica, al desiderio impetuoso di partecipare alle istituzioni rappresentative, a un popolo che si costruisce in quanto comunità.

Una comunità vibrante di idee in ogni momento, e restituita in modo fondamentale dalla straordinaria recitazione dei tanti personaggi che vanno assolutamente scoperti nella versione originale. Vibra nelle sedute dove si riunisce, vibra nelle conversazioni per strada, nelle conversazioni familiari che il regista ci rappresenta intense e appassionate, in un’epoca dove non esistevano la radio, il cinema e tantomeno la televisione. Famiglie che mandavano i figli maschi in guerra e dove i mariti, i figli, le figlie e spesso anche le mogli, lavoravano duramente nelle industrie tessili. Vibrano non poco anche le donne, le quali si riuniscono a loro volta nella Manchester female reform society – perché in questo film con tanti uomini le donne hanno un ruolo importante, tenuto conto del contesto dell’epoca.

Peterloo non è solo un film sul ruolo della stampa, cioè lo scritto ad alta diffusione, nella nascita della democrazia moderna, ma su quanto abbia contato la dimensione orale. Scritto e oralità, dimensione analitica ed emotività andavano mano nella mano.

Vediamo però anche il cinismo, l’insensibilità, la vacuità della classe dirigente (compreso il principe reggente) o, nei casi più sobri, il loro seguire con il paraocchi vecchi schemi mentali. Lo vediamo subito nella sequenza in parlamento con l’intervento del primo ministro Liverpool che chiede non solo di ringraziare ma anche di dare un compenso di 750mila sterline al duca di Wellington, uscito gran vincitore dallo scontro con Napoleone.

Un episodio che esprime già tutta la dimensione vanagloriosa, compiaciuta, vuotamente altisonante di quella classe dirigente che ritroveremo più avanti. E ancora nelle sequenze in tribunale, dove si finisce condannati anche a quindici anni di prigione in Australia per una sciocchezza, nelle conversazioni della polizia, dei proprietari terrieri, degli industriali tessili, rappresentati come persone di una rara grettezza, sempre arrabbiate, già molto ricche, vogliono esserlo ulteriormente sulla pelle delle persone più deboli.

La popolazione si sente profondamente derubata, sfruttata. Mentre i ceti benestanti preparano la strage, il popolo si avvia ignaro, come se andasse a una festa, portando una serie di cartelli quasi da figli dei fiori: “Libertà e lealtà” , “Uniti nell’amore”.

Ma prima di tutto è pittorico l’uso iconico di chi è solo, martoriato dalla storia come dalla quotidianità

Il film da un lato documenta un momento importante della storia moderna. Dall’altro, rimanda alla situazione contemporanea. Non solo al fatto, più evidente, che il popolo è abbandonato in larga parte del mondo. Ma anche al fatto che la democrazia e le sue istituzioni vanno riformate, ampliate, non abbattute, non distrutte. Il regista, del resto, nelle sue dichiarazioni pubbliche ha spesso sottolineato i pericoli per la democrazia presenti in fenomeni come la Brexit, o l’elezione di Trump. Una sorta di deviazione da quello che è stato un lungo processo storico, doloroso prima di tutto per i ceti popolari.

La ricostruzione di Mike Leigh, non a caso, insiste sul fatto che all’epoca si dibatteva non su come distruggere ma piuttosto su come ampliare i diritti nell’ambito delle istituzioni democratiche. Su come riformare queste ultime, malgrado ci fosse quasi un tappo classista a bloccarle, che alcuni, come si vede nel film, ritenevano quasi impossibile rimuovere. Un insegnamento, nella situazione di oggi, che può essere esteso alle critiche all’Unione europea e a molto altro.

Atmosfere intense
Sul piano formale, il regista propone anche un discorso sull’arte. Le già citate sequenze d’apertura e molte altre rimandano a una dimensione pittorica molto sensibile, integrata con finezza con il naturalismo delle riprese. Come sarà facile per lo spettatore verificare facendo il fermo immagine quando il film uscirà in dvd e blueray, ogni immagine potrebbe essere un quadro. Nei paesaggi come negli interni, compresa la bellissima sequenza nei mercati coperti. O nelle case, povere ma dignitose.

In qualche modo il film è anche una continuazione del titolo precedente di Leigh, Turner, incentrato sul grande pittore dell’ottocento, di cui è paradigmatica la sequenza in cui Hunt, ospite di gente umile, si fa ritrarre da un pittore. Vanaglorioso come gli altri, forse, ma almeno sinceramente convinto di cambiare le cose. In altri momenti questo aspetto si sposta sulla dimensione scritta. Sono alternate la visione di chi scrive altisonanti discorsi intrisi di formule trite, recitandoli magari nel proprio studio, e chi scrive in maniera sentita per cambiare le cose del mondo concreto.

Peterloo. (Academy two)

Sono metaforizzate, oltre a due oralità della politica, anche due modi di fare rappresentazione e, in estensione, di fare arte. Molto eleganti, quasi dolci, i movimenti di camera, sia che spazino sui paesaggi sia nelle sequenze negli spazi chiusi o anche nelle strade, dove si lavora con intelligenza sulla profondità di campo. Calda la luce della fotografia, che conferma la notevole capacità del regista di creare atmosfere intense.

Ma prima di tutto è pittorico l’uso iconico di chi è solo, martoriato dalla storia come dalla quotidianità, un procedimento che proviene dalla pittura classica. Usare la figura del singolo soldato per rappresentare tutti i giovani soldati mandati al macello dalle manie di grandezza dei potenti, rappresenta tutti i soldati. Così come tutti gli sfruttati, poiché il giovane soldato figlio di operai “non sarà più uguale a sé stesso”, come accadrà ancora agli operai e ai contadini con le terribili guerre del novecento.

Leigh lo fa con finezza, creando sequenze di vera poesia e prima di tutto molto umane, nel far sentire la grande solitudine di queste persone, come nella scena del canto della donna operaia: “Che tempi brava gente. Intendo dedicarlo a chi non ha niente. Voglia il Cielo che tra un po’ si chieda scusa agli operai. Il sole risorgerà su noi tessitori”. Non c’è musica, solo il suo canto solitario. Sono figure sole, sono esseri umani soli. Questo ci dice l’inizio. Ma ancora sperano, tuttavia, nonostante un’ombra cupa che aleggia sempre. Come nel dialogo a letto tra i due coniugi la sera prima della grande manifestazione. La donna s’interroga con il marito sul destino della loro figlia: “Avrà ottant’anni nel 1900”. Per poi aggiungere: “Mi auguro che per lei il mondo sia migliore!”. Il marito si corica, lei resta con gli occhi aperti, pensosa. La sua espressione mesta, inquieta, pare un presagio funesto.

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