16 settembre 2015 11:07

L’assemblea generale delle Nazioni Unite che si terrà a New York alla fine di settembre potrebbe essere l’ennesima occasione per lanciare proposte e appelli per risolvere il conflitto in Siria, che non avranno nessuna conseguenza significativa, come avviene regolarmente da più di quattro anni. Ma alcuni segnali suggeriscono che stavolta potrebbe succedere qualcosa di più interessante.

Il primo è ovviamente il fatto che la questione dei profughi siriani ha cessato di essere confinata al Mediterraneo ed è diventata il tema centrale della politica europea e soprattutto tedesca. Ma la vera novità è che la Russia sta assai pubblicamente intensificando i suoi aiuti militari al governo di Bashar al Assad e sta costruendo una base operativa a Latakia, da cui secondo l’intelligence statunitense si preparerebbe a lanciare una campagna di bombardamenti in sostegno all’esercito siriano.

Un messaggio per Washington

Se dovesse davvero concretizzarsi, l’intervento russo potrebbe aiutare Assad a fermare l’avanzata dei ribelli islamisti, che negli ultimi mesi si sono avvicinati alle aree strategicamente più importanti del paese. Ma il dispiegamento di forze è ancora molto limitato e il vero obiettivo dell’operazione sembra un altro: mandare agli Stati Uniti un chiaro segnale che, se vogliono davvero creare una no-fly zone interdetta alle forze aree di Assad nel nordovest del paese, dovranno vedersela direttamente con la Russia.

All’inizio di agosto Barack Obama aveva autorizzato l’aviazione statunitense a colpire l’esercito siriano “per scopi difensivi”, completando il patto raggiunto con la Turchia alla fine di luglio.

In base a quell’accordo, Ankara aveva concesso l’uso della base di Incirlik in cambio dell’istituzione di una “fascia di sicurezza” lungo il confine turco-siriano attraverso cui rifornire i ribelli islamisti (e della tacita approvazione di Washington alla sua offensiva contro il Pkk). Non potendo più contare sulla superiorità aerea, l’esercito siriano appariva spacciato e il “cambiamento di regime” a Damasco sembrava una questione di mesi.

La presenza diretta della Russia cambia tutto. Gli Stati Uniti possono minacciare di abbattere gli aerei di Assad, ma non possono rischiare un confronto diretto con l’aviazione russa.

Hanno cercato di rallentare il dispiegamento russo facendo pressioni affinché i paesi della regione non concedano l’uso del loro spazio aereo, ma non possono contare sull’Iraq. Possono imporre nuove sanzioni contro Mosca, come chiedono i repubblicani, ma stavolta difficilmente otterranno il sostegno dell’Europa.

Molti in Europa si stanno rassegnando ad accettare un compromesso con la Russia e con Assad pur di tamponare l’esodo dei siriani

I paesi europei sono stanchi delle conseguenze economiche dello scontro con la Russia, e recentemente sono tornati a fare affari con Gazprom: l’accordo per l’espansione del gasdotto Nord Stream permetterà di ridurre ulteriormente l’importanza per gli approvvigionamenti europei dell’Ucraina, dove la Germania otterrà più spazio di manovra per negoziare una distensione con Mosca.

Sarà quindi importante tenere d’occhio l’atteggiamento di Berlino e degli altri paesi europei in vista dell’assemblea dell’Onu, dove Putin dovrebbe incontrare Obama e lanciare un appello per una coalizione contro lo Stato islamico che includa anche Damasco.

Molti in Europa si stanno rassegnando ad accettare un compromesso con la Russia e con Assad pur di tamponare in qualche modo l’esodo dei siriani, che sta ormai minando la stabilità politica dell’Unione europea.

Non è certo un caso che il negoziatore Onu e premio Nobel per la pace finlandese Martti Ahtisaari abbia scelto proprio questo momento per accusare gli Stati Uniti e i loro alleati di aver ignorato una proposta russa per concedere “una via d’uscita dignitosa” ad Assad nel febbraio del 2012, che secondo lui avrebbe permesso di evitare centinaia di migliaia di vittime.

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