11 febbraio 2016 12:51

L’assemblea nazionale (la camera dei deputati francese) ha approvato il 10 febbraio la legge di riforma costituzionale chiamata “Protezione della nazione” che integra nella costituzione alcune delle misure antiterrorismo annunciate dal presidente della repubblica François Hollande dopo gli attentati di Parigi del 13 novembre.

Nei due giorni precedenti i deputati avevano approvato separatamente, come vuole la procedura, i due articoli che formano la legge. Il primo, votato da una camera semivuota, fissa le condizioni per applicare lo stato d’emergenza. Adottato la prima volta nel 1955, in piena guerra di Algeria, instaura un regime meno grave dello stato di assedio, perché il potere rimane ai civili, ma comporta comunque un rafforzamento dei poteri della polizia nel caso di una “grave minaccia” per la sicurezza dello stato e permette al governo di dichiarare il coprifuoco, interrompere la circolazione, impedire manifestazioni pubbliche e chiudere temporaneamente luoghi di aggregazione come le sale da concerto e i bar.

La legge del 1955 autorizzava il governo a decretare lo stato di emergenza per dodici giorni, lasciando al parlamento il potere di autorizzarne la durata successiva e le eventuali proroghe. I deputati hanno approvato il principio di un controllo del parlamento sull’applicazione dello stato di emergenza e il limite della sua prorogabilità, fissato a quattro mesi rinnovabili.

La maggioranza divisa sulla sicurezza

Il secondo articolo è quello che ha suscitato accesi dibattiti in Francia provocando una profonda spaccatura nel Partito socialista (Ps) e spingendo la popolare guardasigilli Christiane Taubira a dimettersi. L’articolo inserisce nella costituzione la possibilità per il governo di revocare la cittadinanza francese a chi, pur essendo nato in Francia, sia stato “condannato per un reato costituente un grave attacco contro la vita della nazione”. È stato eliminato ogni riferimento alla doppia nazionalità, rendendo teoricamente possibile revocare la cittadinanza a un francese che non possiede altri passaporti.

La misura, in vigore in diversi paesi europei, è stata criticata dai suoi oppositori, in maggioranza schierati a sinistra, perché potrebbe creare delle persone apolidi – cosa che la Francia si è impegnata a non fare in una convenzione del 1961 – e perché evoca le disposizioni antisemite del regime collaborazionista di Vichy (1940-44). Non a caso è stata adottata solo con 162 voti a favore, mentre i contrari sono stati 148, tra i quali 92 deputati socialisti, e gli astenuti 22.

La ritrosia dei socialisti si è riflettuta anche nel voto del 10 febbraio, quando la legge è stata approvata da 317 deputati (di cui 111 dell’opposizione di destra), mentre i voti contrari sono stati 199 (di cui 83 della maggioranza socialista) e gli astenuti 51, di cui 36 socialisti. È la prima volta che un numero così importante di deputati socialisti vota contro il governo in questa legislatura, a dimostrare nuovamente come il Ps sia diviso sull’argomento, così come sulle questioni legate alla sicurezza in generale.

La strategia del governo di cercare il consenso a destra e dare per scontato l’appoggio a sinistra mostra i suoi limiti

L’ala della fermezza, rappresentata dal premier Manuel Valls e dal sempre più influente ministro dell’interno Bernard Cazeneuve, tende a imporre la sua linea, ma si scontra con quella garantista, ormai praticamente assente dal governo ma ancora forte in parlamento.

E così facendo alimenta anche le divisioni in seno alla “gauche”: i Verdi e il Fronte di sinistra (sinistra radicale), tradizionalmente alleati del Ps, sono infatti ostili alla linea Valls. La strategia di quest’ultimo e di Hollande, che consiste nell’andare a cercare il consenso degli elettori moderati imitando la destra e dando per scontato quello degli elettori di sinistra, mostra però i suoi limiti.

Un’approvazione con tempi lunghi

In vista delle presidenziali del 2017, una simile frammentazione dell’elettorato tradizionale della sinistra rischia infatti di escluderla dal secondo turno. Un’ipotesi che, dal 2002, quando si trovarono al ballottaggio Jacques Chirac e Jean-Marie Le Pen, non è più solo ipotetica e sembra confermata dagli ultimi sondaggi.

L’iter parlamentare della riforma non finisce qui: la legge deve ancora essere approvata dal senato (dove la destra è maggioritaria) che, secondo il capogruppo dei senatori dei Républicains (opposizione), si impegnerà a “riscrivere” il testo. Il voto è previsto per metà marzo.

Per essere definitivamente adottata, la riforma – la ventiquattresima nella storia della quinta repubblica – dovrà poi essere approvata dalle camere riunite con la maggioranza dei tre quinti. Poiché la norma prevede che le due camere devono votare lo stesso identico testo, e poiché è molto probabile che il senato modifichi quello votato dalla camera, il rimpallo tra le due assemblee potrebbe andare avanti per mesi, finché entrambe non si mettono d’accordo sul testo. Date le divisioni all’interno dei diversi schieramenti sulla riforma, e il voto compatto contrario della sinistra radicale e di buona parte dei Verdi, un’approvazione entro tempi brevi appare difficile, se non addirittura impossibile.

A questo punto la legge andrà a raggiungere gli altri progetti di revisione costituzionale che si sono arenati in precedenza nel ping-pong tra le due assemblee e il governo potrà affermare di aver fatto il possibile, ma di essere incappato nella macchinosità delle istituzioni.

Una fine poco gloriosa per un provvedimento, in particolare quello sulla revoca della cittadinanza, giudicato da numerosi osservatori meramente simbolico – riguarderà verosimilmente poche decine di persone – e di scarsa utilità.

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