17 ottobre 2019 12:59

Quanto tempo ci vorrà prima che un computer sia in grado di scrivere un articolo del New Yorker? La risposta è: non molto. La legge di Moore afferma che la capacità di calcolo dei computer raddoppia ogni due anni. Oggi questa capacità aumenta di dieci volte all’anno, quindi molto più di quanto previsto da Gordon Moore nel 1965, e alla fine del 2018 era trecentomila volte maggiore di quella disponibile nel 2012.

Come spiega Stefan Betschon a pagina 64 di questo numero di Internazionale, dietro l’intelligenza artificiale ci sono migliaia di persone che svolgono piccoli compiti ancora fondamentali per insegnare alle macchine cosa fare. Ma spesso siamo noi stessi che senza accorgercene formiamo i computer. Le cose che scriviamo, per esempio, gli insegnano a prevedere le nostre frasi. Chi usa Gmail, scrivendo un’email in inglese vede comparire una parola in grigio dopo quella appena digitata: un suggerimento automatico basato sull’analisi dell’archivio di tutti i nostri messaggi.

John Seabrook, il giornalista del New Yorker che ha cercato di rispondere alla domanda iniziale, un giorno stava scrivendo un’email al figlio. Cominciava con “Sono f”, e la sua intenzione era di scrivere “felice che”, ma il testo suggerito da Gmail era stato “fiero di te”. “Ho sentito un brivido lungo la schiena. Non perché il computer avesse indovinato dov’era diretto il mio ragionamento – in realtà non c’era riuscito. Ma perché la macchina era stata più affettuosa di me”.

Anche se è inquietante, il problema non è che i computer siano sempre più precisi nel prevedere le nostre decisioni, anticipando le nostre intenzioni o i nostri comportamenti. Il problema vero è quando i computer saranno diventati così bravi a scrivere romanzi di spionaggio, racconti per bambini o saggi di geopolitica da spingerci a credere che siano migliori di noi.

Questo articolo è uscito sul numero 1329 di Internazionale. Compra questo numero|Abbonati

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