31 maggio 2017 17:27

Gentile bibliopatologo,
ogni volta che leggo un libro sento l’impulso irrefrenabile di fotografarne la copertina, magari adagiata su un letto disfatto o vicino a una bella tazza di caffè fumante, e di condividere questa immagine su tutti i social network possibili e immaginabili. Oltretutto, ho talmente tanta fretta di estrapolare dal testo delle citazioni, e riadattarle alla mia personale biografia, che spesso finisco per non capire né cosa sto leggendo né tantomeno quale sia la voce dell’autore e quale la mia. Dopo tutta questa serie di attività convulse, mi sale un gran mal di testa, e in genere cado addormentata. Come può aiutarmi?

–Francesca Fiorletta

Cara Francesca,
i tuoi giramenti di testa e il tuo sonno improvviso ricadono perfettamente nella definizione freudiana del sintomo come “formazione di compromesso”. Sintomo di quale bibliopatologia, mi chiederai tu, e soprattutto: compromesso tra cosa e cos’altro? Faresti meglio a chiedere tra chi e chi. Due pretendenti si contendono il tuo talamo disseminato di libri, ciascuno reclamando i propri diritti coniugali. A proposito, posso chiamarti Dona Flor? Mi pare che il tuo cognome si presti bene al gioco. Ma veniamo ai tuoi due mariti, un po’ diversi da quelli del romanzo di Jorge Amado.

Da una parte c’è il lettore classico, il rampollo blasonato di quella che George Steiner chiamava l’epoca della bookishness ormai al tramonto. Considera la lettura un piacere privato, da coltivare al riparo dagli occhi del mondo, e cerca il luogo ideale per appartarsi con il suo libro. Non è detto che debba essere un’alcova: può essere un angolo ignorato della casa, una vasca da bagno, il vagone di un treno, una spiaggia isolata, una panchina in un giardinetto pubblico – tutto, purché consenta di trovarsi da soli con il libro. In Una storia della lettura di Alberto Manguel potrai sfogliare il glorioso album di famiglia degli antenati del tuo primo marito. E potrai identificarti con Edith Wharton, che leggeva e scriveva in una stanza da letto dove era ammessa solo la governante (all’occasione una segretaria, che raccoglieva i fogli dal pavimento per batterli a macchina); oppure con Colette, che passò gli ultimi anni galleggiando sul suo radeau-lit o letto-zattera, come l’aveva battezzato. Leggere a letto, osserva Manguel, è un’azione che “svolgendosi fra le lenzuola, nel regno della lussuria e dell’ozio peccaminoso, ha il fascino delle cose proibite”. E aggiunge: “La banale frase ‘mi porto un libro a letto’ mi è sempre sembrata carica di aspettative sensuali”.

Ma il tuo è un letto a tre piazze, e accanto al lettore classico si è intrufolato il barbaro. Lo chiamo così senza troppo sussiego aristocratico, solo perché nel saggio I barbari Alessandro Baricco ha trovato le parole giuste per descriverlo. Questo secondo marito, più giovane e impaziente, coltiva “l’idea che il valore del libro stia nel suo offrirsi come tessera di un’esperienza più ampia: come segmento di una sequenza che è partita altrove e che, magari, finirà altrove”.

Si tuffa tra le pagine, e tra le lenzuola, ma tira fuori la testa di continuo. Le sue brevi apnee servono a pescare dal fondo marino coralli, perle, scrigni di tesori perduti, frammenti di relitti, cose ricche e strane da smerciare sulla terraferma dei social network. Legge una frase che lo folgora, e si precipita a fotografarla o a trascriverla perché tutti la vedano con lui. La descrizione di un personaggio o di uno stato d’animo è una maschera che prova subito a calcare sul proprio volto e sulla propria vita, per scoprire se ne asseconda le forme. L’intimità a due con il libro gli pesa come una reclusione.

Non possiamo fargliene una colpa. La bookishness richiedeva una certa economia dello spazio e dell’ozio che per tante ragioni è venuta meno; e i media elettronici hanno tolto ogni significato agli spazi chiusi, rendendo permeabili tutte le pareti. Seppellirsi in una stanza e in un libro è diventato sempre più difficile e sempre più innaturale. Eppure, cara Dona Flor, il lettore classico continua a tormentarti come lo spirito di Vadinho nel romanzo di Amado. Andrai avanti con il ménage à trois? Butterai fuori dal letto uno dei due mariti? Per adesso, hai trovato la tua “formazione di compromesso”. Che non è tanto il giramento di testa psicosomatico, quanto la fotografia nel letto con la tazza di caffè.

Niente di nuovo, penserai. Una lunga tradizione iconografica mostra lettori assorti sotto un albero, in un’Arcadia di sogno, o lettrici adagiate su una dormeuse, in un salottino accogliente. Ma la finzione voleva che il pittore li avesse sorpresi in quell’atteggiamento e li avesse ritratti a loro insaputa. Tu, al contrario, offri consapevolmente lo spettacolo pubblico della tua intimità – e così facendo la neghi alla radice. Ti tieni abbracciata al lettore classico, che s’illude di averti tutta per te; ma strizzi continuamente l’occhio al barbaro sull’altro fianco del letto, che si vanta della sua conquista con gli amici sui social network. Sei proprio una poco di buono.

Il bibliopatologo risponde è una rubrica di posta sulle perversioni culturali. Se volete sottoporre i vostri casi, scrivete a g.vitiello@internazionale.it

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