19 luglio 2017 16:43

Gentile bibliopatologo,
lei avrà senz’altro una schiera sterminata di amici, conoscenti e addirittura non conoscenti che le chiedono un consiglio su cosa leggere. Poiché i miei (di amici, conoscenti e familiari) mi vedono spesso con un libro in mano e arguiscono fallacemente che io sia un esperto, fanno lo stesso con me. E qui piombo in dilemmi e turbamenti psicofisici che mi lasciano prostrato. Meglio lasciare i consigli a bibliotecari, recensori onesti, librai e via dicendo, concorda?
–Enos

Caro Enos,
ogni volta che qualcuno mi tende la trappola della sciagurata domanda – “Mi consigli un libro?” – ripenso a uno sketch di Little Britain, una serie televisiva comica della Bbc. È un dialogo in libreria tra un signore flemmatico, che dietro dei grandi occhiali dalla montatura squadrata cela uno sguardo di stupidità abissale, e il commesso, un ometto cerimonioso in cardigan e papillon. “Cerca qualcosa in particolare?”, chiede il commesso. “Non proprio”, fa l’altro. “Mi stavo solo chiedendo se aveste qualche libro sulla musica medievale inglese tra il 1356 e il 1390”. Lungo silenzio imbarazzato. “In brossura o con la copertina rigida?”. “Oh, sa come son fatto: sono alla mano”. Contro ogni probabilità, un libro sul tema c’è, ed è proprio lì sul banco: English medieval music – 1356 to 1390. È un volume di 312 pagine. Questo però è un problema. “Speravo piuttosto in qualcosa sulle 306 pagine. Pensa che l’autore sarebbe interessato a riscrivere la sua opera per accorciarla?”. Dal nuovo imbarazzo del commesso, lo strambo acquirente si accorge di aver fatto una richiesta troppo specifica, e inverte bruscamente la rotta: “Avete qualche libro?”. Nuovo silenzio.

Ecco, quando mi chiedono indicazioni bibliografiche su un tema morbosamente specifico, un assillo da monomaniaci – un libro sui culti neonazisti dei dischi volanti, sulle maschere mortuarie degli uomini illustri, sul teatro di marionette in Germania ai tempi di Goethe, sulla psicologia dell’automobilista, sulle spassose abitudini sessuali dello scimpanzé pigmeo, sui soprammobili delle case vittoriane, sulla storia del bidet – la mia mente si popola di reminiscenze di letture sparse, che corrono a radunarsi come ferraglie attratte da un magnete. L’altro ieri, per esempio, mi hanno chiesto un libro che avesse a che fare con il carnevale di Siviglia, e io non ho esitato neppure un istante: La donna e il burattino di Pierre Louÿs. Ma quanto più la domanda si fa generica – “Tu che leggi tanti libri, me ne consigli uno bello?” – tanto più sprofondo nel mutismo, nello sconforto e nel disorientamento.

Credo di aver capito il perché. “Mi consigli un libro?”, infatti, è una domanda che tradisce a colpo sicuro il non lettore: una persona che abbia consuetudine con i libri non si sognerebbe mai di farla. Mettiamo pure che sia buttata lì come mero pretesto per attaccar bottone, un equivalente di “Hai da accendere?”, è un pretesto che un lettore troverebbe incongruo; piuttosto fingerebbe di fumare, agitando una pipa immaginaria o magrittiana. Il punto, quindi, è l’imbarazzo del lettore a cospetto del non lettore.

Usando me medesimo come cavia sperimentale, posso dirti che una domanda del genere, specie se posta con fiducia e candore, innesca una catena di reazioni: all’imbarazzo che ti dicevo (ho davanti a me un non lettore che ignora di esser tale) segue un sottile senso di colpa (perché provo una paternalistica condiscendenza? cosa ho di più, io, di un non lettore? ma chi mi credo di essere?), che reclama un’autopunizione (ecco, ora fagli un bel sorriso e tira fuori il miglior consiglio che hai in serbo); a questo punto subentra il panico (un libro, va bene, ma quale libro? lo sa, il mio amico in cerca di imbeccate, che prima di qualunque viaggio, anche di due giorni, passo ore a decidere quali libri mettere in valigia, e magari mi scordo le mutande?). Passato questo corteo di nuvole interiori – che all’interlocutore appaiono, se pure appaiono, come la sequenza di colori sul volto di Fantozzi che ha appena divorato il tordo in un boccone – do il mio responso: sto zitto. L’amico capisce quanto meno di aver fatto una domanda imbarazzante, e forse dice tra sé e sé: questo buono a nulla ha una montagna di libri e non sa suggerirmene uno, oppure: guarda questo tirchio, magari si fa il bagno nei libri come Paperone nel deposito e poi ti nega una monetina.

“Mi consigli un libro?”. La domanda come vedi apre un vaso di Pandora, e si tratta di escogitare una risposta standard che rimetta subito il coperchio e impedisca a questi veleni mentali di esalare. Te ne propongo una: “Certo: leggi English medieval music – 1356 to 1390”. A quel punto il tuo amico ti chiederà: “E perché proprio questo libro?”. Tu potrai replicare: “E perché no?”. E a quel punto la palla sarà nella sua metà campo.

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