17 febbraio 2020 15:45

Gentile bibliopatologo,
quando un libro mi piace molto, il mio coinvolgimento è così grande da imitare addirittura le gestualità dei personaggi descritte dall’autore. Ciò, come potrà immaginare, causa non poco imbarazzo, soprattutto se leggo in luoghi pubblici. Preciso che la stessa cosa si verifica anche quando scrivo, e pure questo mi preoccupa: frequento la scuola Holden e temo di non saper gestire i raptus quando dovrò scrivere in classe, davanti a compagni e docenti. C’è un rimedio o sono un caso disperato?

– Nausica

Cara Nausica,
sai perché andiamo dallo psicoanalista? Per esorcizzare i nostri fantasmi interiori, mi risponderai tu. Ed è vero; ma ci andiamo anche per collocarli in un tempo e in uno spazio precisi, cosicché, dandosi convegno ogni settimana a quell’ora e su quel lettino, perdano l’abitudine di infestare tutto il resto della nostra vita. Anche i fantasmi letterari possono essere molto esigenti, bussare continuamente alla nostra porta per farci visita – e tra visita e visitazione, per non dire possessione, il passo può essere brevissimo, come dimostra il tuo caso.

Luigi Pirandello era assediato da questa folla di presenze invadenti, petulanti, logorroiche, moleste, e si vide costretto a scegliere un tempo e uno spazio per il sabba: “È mia vecchia abitudine dare udienza, ogni domenica mattina, ai personaggi delle mie future novelle. Cinque ore, dalle otto alle tredici”.

Del resto, l’arte è la domenica della vita. Pensa se avesse tenuto le porte sempre aperte, giorni feriali inclusi: i personaggi in cerca d’autore non sarebbero stati sei per volta, ma 666 – e così, per deviazione numerologica, rieccoci sulla via del sabba.

Getty Images

Ma Pirandello aveva un antico rimedio per liberarsi dei suoi fantasmi via via che accorrevano: depositarli sulla carta, e modellarli fino al punto in cui prendevano vita propria, si mettevano in cammino e cessavano di disturbarlo. È lo stesso rimedio che raccomando a te – o meglio, che ti avrei raccomandato, se non l’avessi già adottato: una scuola di scrittura non è solo un luogo di incubazione del tuo male, è anche una clinica dove puoi sperare nella guarigione.

Guai, però, se smettessi di ammalarti, se chiudessi la porta a quei postulanti immaginari! Una delle mie ragioni di frustrazione davanti a tanta parte del romanzo contemporaneo è che troppo raramente mi capita di incontrare personaggi che abbiano preso vita, recidendo il cordone ombelicale con chi li ha generati.

Spesso mi sfila davanti un corteo smunto di figurine allegoriche, di scheletri didascalici, di creature informi partorite a metà, di efflorescenze sulla psiche dell’autore. Per non parlare quando il personaggio è l’autore stesso, negli abiti dell’autofiction.

Se non apri la porta ai personaggi, perché leggere? E se non sei disposta a metterli in libertà sulla pagina, perché scrivere? L’importante è stabilire un’ora, un luogo, un lettino.

Il bibliopatologo risponde è una rubrica di posta sulle perversioni culturali. Se volete sottoporre i vostri casi, scrivete a g.vitiello@internazionale.it.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it