09 maggio 2017 15:35

A parte le iniziative teatrali di Donald Trump quando si tratta di politica estera, esiste qualche buon motivo per cui proprio adesso si profila una crisi sul programma nucleare della Corea del Nord?

Se il regime di Pyongyang sta davvero progettando un imminente test segreto, come afferma Washington, si tratterà del sesto e non del primo. È difficile capire come si possa parlare di uno sviluppo che richiede un’azione immediata. Lo stesso vale per i test con missili balistici, che vanno avanti da molti anni. Non c’è niente di nuovo in Corea del Nord.

In Corea del Sud, invece, le cose stanno forse per cambiare, e di molto.

Il vincitore delle elezioni presidenziali del 9 maggio, Moon Jae-in, è sostenitore di una politica molto più morbida nei confronti della Corea del Nord. Ha perfino promesso di riavviare alcuni progetti turistici e industriali del nord finanziati una decina di anni fa dall’ultimo governo sudcoreano guidato dal Partito democratico (di centrosinistra).

I legami interrotti
All’epoca, Moon era capo di gabinetto del presidente Roh Moo-hyun e la cosiddetta sunshine policy di riconciliazione con la Corea del Nord era all’ordine del giorno. L’obiettivo era creare legami commerciali, finanziari e personali tra le due Coree, e a tale scopo la Corea del Sud aveva offerto finanziamenti e investimenti al nord.

È impossibile dire se la cosa avrebbe poi portato a una situazione meno tesa e militarizzata nella penisola coreana, perché alle elezioni del 2008 hanno vinto i conservatori, archiviando la sunshine policy. Negli ultimi nove anni, sotto un governo di centrodestra, le relazioni tra nord e sud si sono congelate di nuovo e Seoul ha bloccato gli investimenti in Corea del Nord.

Alcune recenti azioni degli Stati Uniti suggeriscono un tentativo deliberato di inasprire lo scontro con Seoul

Moon ha dichiarato di voler riallacciare i rapporti economici con la Corea del Nord, con una politica che i suoi consiglieri chiamano sunshine 2.0.

Il tutto è in netta opposizione con la politica di Trump che vorrebbe rafforzare le sanzioni economiche contro la Corea del Nord e minaccia addirittura un’azione militare per obbligare Pyongyang ad abbandonare il suo programma di armi nucleari.

Quindi la domanda è: l’amministrazione Trump ha spinto lo scontro con la Corea del Nord in cima alla sua agenda di politica estera al fine di ostacolare la nuova sunshine policy di Moon Jae-in?

Visto il caos che regna alla Casa Bianca con Trump, è possibile che non sia così. Può darsi che Trump stia semplicemente prendendo decisioni politiche improvvisate, e che non sappia niente, né si preoccupi, della politica interna della Corea del Sud. Ma alcune recenti azioni degli Stati Uniti suggeriscono un tentativo deliberato di inasprire lo scontro prima dell’arrivo di Moon al potere.

Un indizio potrebbe essere l’improvvisa fretta di attivare il sistema Thaad (Difesa d’area terminale ad alta quota) in Corea del Sud prima delle elezioni. Si tratta di un sistema concepito per intercettare missili balistici a breve e medio raggio, del genere che la Corea del Nord potrebbe utilizzare per lanciare degli ordigni nucleari in Corea del Sud (e forse Giappone) se mai riuscisse a caricarli sui missili.

Le decisioni scioccanti di Trump
Si tratta di una precauzione ragionevole, forse, ma il sistema Thaad in origine doveva essere installato in Corea del Sud tra agosto e ottobre di quest’anno. Poi è improvvisamente apparso nel paese a marzo ed è “operativo” (almeno in teoria) da aprile. Moon farà molta fatica ad annullare questa decisione, e i nordcoreani sono, come prevedibile, sempre più isterici al riguardo.

D’altro canto Trump ha scioccato i sudcoreani annunciando a fine aprile che Seoul dovrà pagare un miliardo di dollari per il sistema Thaad, nonostante un accordo che prevede che siano gli Stati Uniti a sostenere i costi. Ha anche dichiarato che avrebbe rinegoziato gli accordi di libero scambio esistenti tra i due paesi. Il che suggerisce che non esiste alcun piano astuto, ma il solito agire a casaccio.

Che gli Stati Uniti stiano volontariamente manipolando gli eventi o meno, Moon Jae-in si troverà in una situazione scomoda. Crede, piuttosto giustamente, che non serva una crisi quest’anno per risolvere un problema che cova sotto la cenere (senza mai infiammarsi) da almeno quindici anni. Ma se non accetterà l’esistenza di una crisi, dovrà scontrarsi con Donald Trump.

Ce la farebbe Moon a uscire vincitore da uno scontro di questo tipo? Potrebbe, se avesse un ampio sostegno in patria, dove il suo partito già controlla il parlamento. Più difficile è valutare il polso dell’opinione pubblica, con un elettorato diviso tra sostenitori di un approccio duro e uno più morbido nei confronti della Corea del Nord. Ma tutti sono d’accordo sul fatto di non volere una guerra nella quale sarebbero le principali vittime, e lo stile di Trump a volte fa davvero paura.

(Traduzione di Federico Ferrone)

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