08 agosto 2018 11:55

L’8 agosto 1918, cento anni fa, diventò finalmente chiaro chi avrebbe vinto la prima guerra mondiale. Nove divisioni canadesi e australiane, quasi duecentomila uomini in tutto, attaccarono le trincee francesi vicino ad Amiens, nella Francia profonda. Per la prima volta dall’inizio della guerra, le truppe tedesche arretrarono.

Il secondo giorno della battaglia i tedeschi ripresero a opporre una fiera resistenza, ma il comandante tedesco, il generale Ludendorff, lo definì “il giorno oscuro dell’esercito tedesco”. Dopodiché la Germania si limitò a ritirarsi e appena tre mesi dopo fu firmato un armistizio.

Eppure appena pochi mesi prima la Germania aveva quasi vinto la guerra. La rivoluzione bolscevica aveva trascinato la Russia fuori della guerra nel 1917 e la Germania aveva potuto dirottare mezzo milione di truppe in Europa occidentale. Per la prima volta possedeva una superiorità numerica sulle truppe britanniche e francesi, e le grandi offensive tedesche della primavera del 1918 avevano lacerato il fronte occidentale.

Il risultato fu una sconfitta catastrofica per la Germania e un trattato di pace così duro da creare i presupposti per l’ascesa di Hitler

Ma le offensive tedesche finirono per esaurire la propria forza senza riuscire a dividere in maniera permanente gli eserciti della Francia e del Regno Unito. La guerra sarebbe potuta finire così, con un pareggio. Nel 1918 tutti i paesi erano esausti. L’esercito francese si era ammutinato per metà nel 1917 e non era ancora pronto per combattere. Le divisioni britanniche erano ridotte a metà della loro forza.

Solo le divisioni canadesi e gli australiani avevano ancora intatti i loro effettivi (tra i venti e i venticinquemila uomini) e nel 1918 avevano accumulato una grande esperienza. Per questo guidarono quasi tutti gli attacchi sferrati durante l’offensiva dei “cento giorni” che pose fine alla guerra. Ma quel che veramente distrusse il morale dei tedeschi fu che ogni giorno arrivavano in Francia diecimila nuovi soldati statunitensi.

Le inesperte truppe statunitensi non ebbero un ruolo nei “cento giorni” ma la loro presenza fu decisiva. Tutti sapevano che ci sarebbero stati tre milioni di soldati statunitensi in Francia entro la fine dell’anno e che questi avrebbero accumulato esperienza di combattimento piuttosto velocemente. Quando, nella primavera del 1918, le sue ultime e disperate offensive fallirono, la Germania era ormai destinata a perdere la guerra.

Così sono andate le cose, e il risultato fu una sconfitta catastrofica per la Germania e un trattato di pace così duro da creare i presupposti per l’ascesa di Hitler e per una seconda guerra, perfino peggiore della prima. Ma cambiando una singola decisione, le cose sarebbero potute andare in modo molto diverso.

La disperata scommessa tedesca
Questa decisione fu presa nel gennaio 1917. A quel punto sembrava impossibile che la Germania sconfiggesse i suoi nemici, numericamente molto superiori, sul campo di battaglia. Un ammiraglio tedesco aveva convinto il governo a scatenare attacchi sottomarini illimitati sulle navi che rifornivano il Regno Unito, comprese quelle di paesi neutrali come gli Stati Uniti.

Una simile decisione era destinata a far entrare in guerra gli Stati Uniti, naturalmente, ma l’ammiraglio promise che il Regno Unito sarebbe stato ridotto alla fame e avrebbe accettato la pace molto prima dell’arrivo delle truppe statunitensi in Europa. Si sbagliava: il Regno Unito non fu ridotto alla fame, e gli Stati Uniti dichiararono guerra alla Germania nell’aprile del 1917. Alla metà del 1918 le truppe statunitensi si riversarono in massa in Francia, e fu la fine della guerra.

Ma la prima rivoluzione russa si era svolta appena prima della decisione tedesca di scatenare una guerra sottomarina a tutto campo. Se tale decisione fosse stata rimandata di appena due mesi, a Berlino avrebbero saputo che la Russia sarebbe probabilmente uscita dalla guerra. E quindi non avrebbero mai accettato la scommessa disperata proposta dall’ammiraglio.

Gli U-boat tedeschi non avrebbero mai affondato le navi statunitensi, Washington sarebbe rimasta fuori della guerra e forse nel 1918 la Germania avrebbe vinto.

Sarebbe stata una cosa positiva, poiché la Germania non avrebbe ottenuto una vittoria netta. Avrebbe vinto ai punti, consapevole che le sue offensive di primavera non avevano ottenuto il proprio obiettivo, ma c’erano andate vicine. Le sue truppe avrebbero resistito alle controffensive del nemico (in assenza di fiumi di soldati statunitensi a demoralizzarli) e sarebbe potuto essere logico finirla lì e tornarsene tutti a casa.

La Germania fu punita in maniera durissima per delle colpe di guerra che erano in realtà condivise

Dopo quattro anni e dieci milioni di morti, sarebbe stato difficile farlo, ma continuare a combattere anche nel 1919 e nel 1920 sarebbe stato ancor più difficile. Con la Russia fuori della guerra e gli Stati Uniti che non ci sarebbero neanche entrati, nessuna delle due parti poteva sperare in una vittoria chiara. Ed erano tutti terrorizzati all’idea di rivoluzioni come quella russa in casa propria, se i massacri fossero andati avanti. E quindi avrebbero smesso di combattere.

Non ci sarebbe stato alcun trattato di pace come quello di Versailles, che attribuì tutte le responsabilità della guerra a una delle due parti, costringendo i perdenti a pagarne tutti i costi – le riparazioni. La Germania avrebbe probabilmente riottenuto le sue colonie, ma in Europa nessun territorio sarebbe passato di mano. E probabilmente non ci sarebbe stata una seconda guerra mondiale.

Hitler è salito al potere perché la Germania fu punita in maniera durissima per delle colpe di guerra che erano in realtà condivise. Un “pareggio senza reti”, invece, avrebbe potuto far capire più chiaramente alla gente l’assoluta follia di un sistema internazionale che alimentava simili guerre.

E invecea causa di una singola decisione abbiamo avuto un ventesimo secolo finito nei libri di storia. Un vero peccato. È difficile pensare a un ventesimo secolo peggiore.

(Traduzione di Federico Ferrone)

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