25 giugno 2016 12:11

“Non posso votare nessuno che sia già stato al governo: il Partito socialista ci ha ridotti sul lastrico e il Partito popolare ci ha massacrati per poi dirci che stavamo meglio”.

“Bene! Così restiamo senza governo ancora per un po’: noi votiamo e loro non sanno mettersi d’accordo”.

“Dobbiamo tapparci il naso? Ancora? Io non ce la faccio”.

La conversazione tra quattro amici in un bar della spiaggia di Barcellona si infiamma e si congela a fasi alterne, tra professioni di fede politica, improvvisi silenzi, strategie più realistiche. Alla fine si spegne in sorsi di birra nervosi e lunghi sguardi verso il mare.

La Spagna che domenica 26 giugno va al voto per la seconda volta in sei mesi appare indecisa e stanca. Le elezioni legislative del 20 dicembre 2016 hanno segnato il successo di nuove formazioni (Podemos e Ciudadanos) e la nascita di uno scenario inedito per un paese che in tutta la sua recente storia democratica aveva oscillato tra socialisti e conservatori. I quattro mesi che sono seguiti, però, hanno fiaccato parte dell’entusiasmo perché i tentativi frustrati di stringere alleanze o incassare sostegni esterni hanno reso necessario sciogliere le camere e riconvocare i cittadini. La sensazione è che il risultato non sarà troppo diverso da quello di sei mesi fa: nessuna delle quattro formazioni principali raggiungerà la maggioranza assoluta e i 350 nuovi deputati dovranno rimettersi a trattare per riuscire a esprimere un esecutivo.

Il secondo più votato sarebbe Podemos, che convoglia l’indignazione contro la politica

Lo spiega il sociologo José Juan Toharia, presidente della società di sondaggi Metroscopia: “Nella sostanza, il panorama politico non è diverso da quello emerso dalle urne in dicembre, anche se con alcune sfumature che lo rendono ancora più complicato. Di sicuro il Partito popolare (Pp) si confermerà la forza più votata, ma con meno seggi e con più difficoltà a trovare appoggi e complicità per governare”.

La “sfumatura” più importante è che cambierebbe il secondo posto sul podio: in base ai sondaggi, il secondo più votato non sarebbe il Partito socialista (Psoe), come in dicembre, ma Podemos, la forza guidata dal giovane politologo Pablo Iglesias che convoglia l’indignazione contro la politica tradizionale e si presenta a questo secondo appuntamento nazionale in coalizione con gli ex comunisti di Izquierda unida (Iu).

“Sento in giro una certa stanchezza. Se dovessi scrivere una sceneggiatura o un romanzo su questi giorni, il mio titolo sarebbe: ‘Nessuno crede a niente’”, ammette David Trueba, regista, scrittore e giornalista. “Le persone che conosco si dividono tra chi ha conservato un certo slancio per Podemos e quindi lo voterà e chi invece ha perso quell’ingenuità o quello spirito punitivo nei confronti degli altri partiti. Tra questi, alcuni stanno pensando di votare il Psoe per evitare che sia spazzato via, ma altri non sanno nemmeno se ci andranno, al seggio”.

L’impressione di Trueba, che nelle sue opere sa rendere il polso della società che racconta, è confermata dai sondaggi. Le proiezioni che il Centro de investigación social (Cis) ha pubblicato il 9 giugno rivelano che il 32 per cento degli elettori non aveva ancora deciso chi votare. E dire che la Spagna è in campagna elettorale da più di un anno: nella primavera del 2015 si sono svolte le amministrative in città fondamentali come Madrid e Barcellona; in novembre le regionali in Catalogna; il 20 dicembre il voto nazionale.

Il sorpasso

“Sette elettori su dieci dicono che di certo domenica andranno a votare. Ma una parte di loro ancora non ha scelto un’opzione politica concreta. Sono i decisi indecisi”, scrive José Pablo Ferrándiz di Metroscopia, che continua: “Si tratta di più di tre milioni di spagnoli che sono l’oggetto del desiderio di tutti i partiti. Per alcuni, ottenere il loro voto vorrebbe dire migliorare il risultato; per altri, evitare il disastro”.

Tra i primi c’è senz’altro Unidos podemos (Up): la coalizione di Iglesias e Iu che grazie a quel bacino incerto potrebbe segnare il “sorpasso” sul Psoe. Tra i secondi ci sono quindi i socialisti e soprattutto il loro attuale segretario, Pedro Sánchez: se fosse superato a sinistra, dopo aver fallito nel tentativo di formare un governo in aprile, avrebbe i giorni contati.

Il Psoe gioca la carta del cambiamento dopo cinque anni di tagli e misure di austerità dei popolari

In effetti secondo Metroscopia “il gruppo più numeroso di indecisi (23 per cento) non sa scegliere tra Psoe e Unidos podemos”. La sociologa Belén Barreiro, direttrice della società MyWorld, calcola che Up arriverà al 24,8 per cento e il Psoe al 20,4. Secondo Metroscopia ci sarebbe ancora più distanza: 26 per cento contro 20,5 per cento. La formazione nata dopo le proteste della puerta del Sol può contare su un elettorato giovane, fedele, ancora entusiasta. Un elettorato che si è rafforzato quando Podemos ha deciso di non scendere a compromessi per governare: “Una scommessa vinta dal punto di vista del marketing: Podemos ha tratto vantaggio a mostrarsi puro e duro”, riflette Raffaele Simone che insegna all’università Roma 3.

Forte del suo vantaggio nelle intenzioni di voto, la principale forza alternativa ai conservatori ha marcato il ritmo della campagna elettorale, sulle reti sociali e nelle piazze gremite, accentuando il ruolo da fustigatrice della corruzione presente nelle altre formazioni. La cronaca li ha aiutati: è di questa settimana l’ultimo scandalo scoppiato nel Pp.

Il Psoe gioca la carta del cambiamento dopo cinque anni di governo del Partito popolare, con tagli e misure di austerità che, se hanno risollevato gli indici economici, hanno fatto aumentare la povertà. Ma Sánchez e i suoi non hanno solo un avversario a destra. Devono proteggersi anche a sinistra e lo fanno cercando di stanare fino all’ultimo elettore: un’astensione superiore al 30 per cento li penalizzerebbe.

Diventare indispensabili

In un panorama in cui nessun partito ha la forza per governare da solo, dove “ormai non si tratta di vincere ma di diventare indispensabili” (Toharia), è fondamentale arrivare secondi. Il leader popolare Mariano Rajoy ha dichiarato che se si ripete il risultato del 20 dicembre non si presenterà in parlamento a chiedere sostegno per un governo di minoranza. A questa via, ha sempre preferito l’ipotesi di una grande coalizione con Psoe e Ciudadanos, cimentata da un programma di riforme (ma sostenuta solo dal 20,4 per cento degli elettori). Al primo tentativo la manovra non gli è riuscita ed è difficile ce la faccia ora, visto che il giovane leader di Ciudadanos Albert Rivera ha posto come condizione per un eventuale esecutivo con il Pp che non sia Rajoy a guidarlo. L’alternativa sarebbe un governo tra socialisti e Up, opzione preferita dagli spagnoli (34,4 per cento). Resta da capire quale tra le due formazioni potrà fare la voce più grossa al tavolo dei negoziati. E chi, tra Iglesias e Sánchez, otterrà i consensi per guidarla.

Barcellona e la Catalogna, che già alle scorse legislative avevano fatto di Podemos il partito più votato e che per questa specie di secondo turno si sono riempite di manifesti in cui Iglesias sorride al fianco dell’amata sindaca Ada Colau, hanno già deciso chi scegliere: secondo tutti sondaggi, il primo partito resta con ampio margine Podemos.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it