17 novembre 2014 18:53

Si è discusso molto nei giorni scorsi della ricerca pubblicata dal Guardian che documenta come siamo il paese più inconsapevole, quello la cui opinione pubblica regolarmente sbaglia ogni risposta e amplifica ogni emergenza: pensa che i disoccupati siano la metà della popolazione (e non il 12 per cento), gli immigrati un terzo (e non il 7 per cento), le ragazze madri il 17 per cento (in realtà sono lo 0,5 per cento). Ma la discussione si è presto polarizzata intorno a due mezze verità: che si leggano troppi pochi giornali e si usino pochi mezzi di informazione da un lato; che essi informino male dall’altro.

A Prima pagina, su Radio3, ho ascoltato una telefonata esemplare. Parlando dei disastri del maltempo un ascoltatore ha citato suo cognato francese, i disastri (e le vittime) d’oltralpe, il silenzio dei giornali italiani. Perché tacciono?, si è chiesto. Ho una risposta che forse aiuta a capire quei dati sulla nostra inconsapevolezza.

Noi parliamo del maltempo essenzialmente per nutrire la polemica politica, per parlare di (o contro) Renzi, Burlando, Marino o (in passato) Alemanno (che è lo stesso). Un semplice cambio di location per la stessa narrazione con gli stessi protagonisti e una trama sempre uguale. Una fiction assai modesta, si direbbe. Ma quello sembra essere lo scopo di decine di pagine e di corrispondenze.

Perché in Italia la politica nazionale è il vertice dell’informazione e comunque la cosa più interessante di cui parlare. L’errore mi sembra madornale: ci sono cose molto più interessanti non solo perché lo penso io ma perché evidentemente lo pensa il numero crescente dei non lettori. Ma a parte la spiegazione chiara della crisi dei giornali, c’è qualcosa di più profondo.

Se parlassero delle alluvioni in Francia, i giornali dovrebbero smettere di parlare di Burlando e passare ad affrontare problemi più ampi e decisivi: scientifici, tecnici, economici, geologici e geopolitici, per esempio. Dovrebbero aiutarci a capire cos’è questa emergenza climatica, come nasce, cosa dobbiamo davvero temere (e magari cosa possiamo fare). E quindi abbandonare un terreno facile (Renzi contro Burlando) per uno più complesso che però ha il piccolo particolare di essere quello che davvero conta ed è invece in genere lasciato da parte o in fondo.

È questa rimozione ed emarginazione determinata dall’ossessione per la politica la causa principale della nostra disinformazione e, al di là delle pur importanti spiegazioni storico-antropologiche, quello che fa di noi il paese più inconsapevole del mondo, con quelle bizzarre percezioni della realtà (oltre ad avere qualche influenza sulle drammatizzazioni delle nostre Tor Sapienza. Ma ne parleremo un’altra volta).

La politica nazionale spiega poche cose e sempre meno, ma lo spazio che occupa è smisurato; è impotente ma imponente. Una tigre di carta che però la carta, e quello che c’è scritto sopra, se la sta mangiando tutta.

Marino Sinibaldi è il direttore di Radio3.

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