09 maggio 2014 15:22

Il primo giura che non governerà mai con “due pregiudicati” come Silvio Berlusconi e Beppe Grillo, “due facce della stessa medaglia”. Il secondo afferma che Matteo Renzi “è pericoloso, è una persona malata” che “va spazzata via” e aggiunge: “Quando vedo Renzi e Berlusconi, non so chi è vivo e chi è morto, perché sono morti tutti e due”. E il terzo rende pan per focaccia parlando di “due pericoli possibili, due rischi per tutti noi italiani”, bollando Renzi come uno “scalatore della politica”, mentre Grillo è “un urlatore, uno sfasciacarrozze, un aspirante dittatore”.

State tranquilli: non voglio aprire, ancora una volta, il discorso sui toni violenti, grotteschi e apocalittici che caratterizzano questa campagna elettorale. Vorrei invece soffermarmi sulle forti somiglianze tra i tre maggiori contendenti.

Si presentano come tre salvatori della patria: ognuno promette che con lui e solo con lui finalmente l’Italia cambierà radicalmente. È uno show piuttosto muscolare, una contesa tra uomini alpha che si vantano di “dire pane al pane” e che - tutti e tre - vanno orgogliosi di aver rotto con i vecchi rituali della politica.

È, in breve, il trionfo morale del probabile perdente, Silvio Berlusconi: la trasformazione delle elezioni in un plebiscito personale. Renzi vuole carta bianca per poter “cambiare verso all’Italia”; Grillo conta sul voto per seppellire definitivamente i partiti; Berlusconi spera in una rivincita sulla giustizia. Ma tutti e tre sono sostanzialmente uniti dal fatto che non assistiamo alla campagna del Partito democratico, di Forza Italia o del Movimento 5 stelle, ma di Renzi, Grillo e Berlusconi.

Viene così annebbiato il fatto che gli elettori sono chiamati a designare i rappresentanti italiani al parlamento europeo, non il leader nazionale dei prossimi anni, il taumaturgo che deve tirare l’Italia fuori dai guai. Rimangono sullo sfondo i partiti, sempre più gusci vuoti buoni sostanzialmente a veicolare la rispettiva star (e non è un caso che tutte e tre le forze politiche ormai dispongano di un’unica star: dopo di loro il diluvio).

Ma rimane sullo sfondo anche l’Europa. In questo campo tutti e tre puntano sul malcontento degli italiani, affermando di non volere l’Europa della Merkel, spaziando da un generico slogan “cambiamo verso all’Europa” (Renzi) a un’idea alquanto irrealistica di un referendum sull’appartenenza all’euro (Grillo).

Ma colpisce il fatto che, anche sul fronte interno, tutti e tre hanno identificato almeno un avversario comune: i sindacati. È superfluo dirlo di Berlusconi. E non sorprende più di tanto neanche Grillo, che se la prende con Maurizio Landini, capo della Fiom, perché da 23 anni “non ha fatto più neanche una saldatura”, facendo invece il sindacalista a tempo pieno. Renzi invece attacca Susanna Camusso: è interessante - almeno da parte del leader di un partito di sinistra - la sua affermazione che gli imprenditori possano dialogare anche direttamente con i loro dipendenti senza l’interposizione del sindacato.

Può darsi che simili polemiche aiutino a vincere le elezioni. C’è da dubitare invece che si risolvano i problemi dell’Italia - e dell’Italia in Europa - rottamando anche i sindacati.

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