16 gennaio 2018 13:19

Ho scoperto con piacere che un nuovo studio conferma una delle mie intuizioni sulla scrittura e i lavori creativi in generale, anche se sono abbastanza sicuro che non aveva nessuna intenzione di farlo, dato che i ricercatori stavano studiando gli ingorghi stradali.

Un giorno, mentre procedeva a passo d’uomo nel traffico, Jonathan Boreyko, un professore di ingegneria americano, ha notato che ai semafori rossi e agli stop, gli automobilisti tendono ad attaccarsi al paraurti dell’auto che li precede, lasciando pochi centimetri tra un veicolo e l’altro. Il motivo per cui lo fanno non è un mistero: pensano che in questo modo avranno più probabilità di attraversare l’incrocio prima che il rosso scatti di nuovo e arriveranno prima a destinazione, anche se così aumentano il rischio di un tamponamento.

Ma sbagliano. Quando hanno ricreato la scena del semaforo su una pista di prova, Boreyko e un suo collega hanno scoperto che gli automobilisti che si attaccavano al paraurti dell’auto davanti alla loro non procedevano più rapidamente. È vero che erano leggermente più vicini al semaforo, ma poi impiegavano più tempo a ripartire, e i due fattori si annullavano a vicenda. “Quando il traffico si ferma, non ha senso avvicinarsi di più alla macchina che ci precede”, conclude Boreyko. Il che non significa proprio “più cerchi di sbrigarti e più tempo perdi”, ma sicuramente “più cerchi di sbrigarti e meno tempo risparmi”. E probabilmente provochi più incidenti.

L’impazienza non paga
Se vi state chiedendo che cosa c’entra questo con la scrittura e altri lavori simili, direi che è un’ulteriore riprova del fatto che l’impazienza non paga quasi mai. Compresa quella delle persone che definiamo “ossessionate” o “ispirate”, quelle che quando hanno un obiettivo diventano inarrestabili. Certo sembra che producano molto di più. Ma, come sostiene lo psicologo Robert Boice, affrettarsi a finire qualcosa in genere ha un costo che bilancia, se non addirittura supera, i benefici, quindi si rischia di metterci più tempo o di farlo peggio. Ci si stanca e si è meno in forma il giorno dopo. O si trascurano tanti altri doveri che poi si ha bisogno di un giorno intero per rimettersi in pari. Oppure si rischia di danneggiare il lavoro già fatto.

È spaventoso pensare quanto tempo impieghiamo ogni giorno proiettati verso il futuro

È per questo che lo scrittore Gabriel García Márquez diceva di aver rinunciato a scrivere nel pomeriggio: andava più avanti, ma la mattina dopo doveva rifare tutto, quindi alla fine il suo ritmo di lavoro ne risultava rallentato (è anche il motivo per cui Boice insiste nel sostenere che quando si stabilisce un orario per scrivere, è importante rispettarne rigorosamente l’inizio e la fine, anche se si sta andando a gonfie vele).

Questo è chiaramente un modo molto comodo per sentirsi superiori alle persone che lavorano più ore, ma non significa che non sia vero. È spaventoso pensare al peso che ha l’impazienza nella nostra vita in generale: quanto tempo impieghiamo ogni giorno proiettati verso il futuro, cercando di “sbarazzarci al più presto” di certi compiti, sempre concentrati sull’obiettivo finale, metaforicamente avvicinandoci sempre più al paraurti dell’automobile che abbiamo davanti.

Niente di tutto questo ci fa arrivare prima. E non è neanche un bel modo di vivere. Essenzialmente, è l’atteggiamento dell’automobilista bloccato in un ingorgo stradale: “Non vedo l’ora di uscirne!”. Può anche andare bene se siamo incastrati nel traffico, ma non possiamo considerare tutta la nostra giornata un irritante e noioso viaggio per arrivare in ufficio.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

Questo articolo è uscito sul quotidiano britannico The Guardian.

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