18 febbraio 2020 12:50

Uno dei problemi meno ovvi dell’essere troppo impegnati – a parte il principale, che è essere troppo impegnati – è il fenomeno che potremmo chiamare dell’“invecchiamento degli impegni”. C’è una cosa che dobbiamo fare: spedire un’email, per esempio, o programmare un evento. Ne prendiamo nota, mentalmente o dove siamo abituati ad appuntarci gli impegni. Ma poi non la facciamo. E non la facciamo ancora per un po’, fino a quando sarà lì da tanto tempo che non avremo proprio più voglia di farla, perché ormai è vecchia e stantia e quindi profondamente sgradevole.

A volte, bisogna ammetterlo, questo tipo di procrastinazione è il segno che non è mai stato veramente necessario farla. Ma spesso non è così. E ci troviamo nella paradossale situazione di odiare il pensiero di quel compito, perché lo abbiamo ignorato così a lungo che ormai è diventato urgente.

Come osservava l’investitore di Silicon Valley Daniel Gross nel suo blog lo scorso gennaio, in un post intitolato “La produttività dell’improvvisazione”, uno dei problemi del pensare di dedicarci a un certo compito, è che si tratta di un lavoro in sé, relativamente facile e piacevole, perciò tornandoci sopra più volte mentalmente ne riduciamo la novità e di conseguenza il fascino. “È come masticare un pezzo di gomma, attaccarlo subito da qualche parte e poi provare a convincerci che possiamo riprenderlo anche se ormai si è seccato”, scrive Gross.

Organizzare o agire
Una cosa che faccio spesso, di solito inutilmente, è preparami quello che voglio dire quando finalmente telefonerò alla mia banca, ed è molto più noioso che chiamarla veramente. Questo effetto è probabilmente più pronunciato nel caso di compiti che all’inizio ci sembrano eccitanti – come i progetti creativi – perché pensarci è più divertente mentre gli aspetti tediosi della loro realizzazione lo sono molto di meno.

Un antidoto alla tendenza a lasciar invecchiare gli impegni è usare un sistema per organizzarli che li metta tutti da parte, lontano dagli occhi e dalla mente, esclusi quei pochi di cui ci stiamo occupando in quel momento (il “kanban personale”, una lavagnetta simile a quelle che usano nelle fabbriche giapponesi, del quale vi ho già parlato in questa rubrica lo scorso luglio, ne è un esempio).

Se con questo sistema avete paura di dimenticare qualcosa di importante, non vi preoccupate, è inevitabile. Dopotutto è questo che succede quando siamo sopraffatti dagli impegni, e concentrarvi su poche cose alla volta fino a quando non le avrete finite è il modo migliore per non avere sempre la sensazione di essere sopraffatti.

Un altro modo, dice Gross, è prendere l’abitudine di fare le cose appena si presentano, se è possibile, e resistere alla tentazione di programmare troppo. “Io cerco di rispondere alle email appena le apro”, dice. “Prendo qualche appunto su quello che mi serve per una riunione, e mi rifiuto di pensarci fino al momento in cui sono lì”.

Per essere chiari, questo non significa rispondere alle email, o a qualcos’altro che richiede il nostro tempo, appena arrivano, così saremmo schiavi delle notifiche digitali, delle interruzioni casuali e delle priorità degli altri. Il punto è smettere di scorrere la casella della posta in entrata, leggere i messaggi, richiuderli e aspettare fino a quando vi rendete conto che è diventato urgente rispondere. Provate piuttosto a farlo subito (oppure a cancellarli o archiviarli se pensate che non risponderete mai). Domani quei messaggi non diventeranno più attraenti.

Consigli di lettura

Nel loro libro Personal kanban, Jim Benson e Tonianne DeMaria Barry illustrano la strategia sorprendentemente efficace di dedicare l’attenzione a poche cose alla volta.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

Questo articolo è stato pubblicato dal quotidiano britannico The Guardian.

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