04 aprile 2017 19:00

1. Aimee Mann, Good for me
Toglietele il gusto della dopamina, fatele morire l’appetito in gola, sequestratele il gatto, otturatele il lavandino, oscuratele il violino: forse le farete un favore perché Aimee (di cui molti hanno ricordi cinematografici, come le canzoni di Magnolia) è totalmente a suo agio con la voluptas dolendi, la surfa come un’onda, s’infila nel grande tubo blu scuro della tristezza con la grazia di una virtuosa. Lo dimostrano le undici ballate di Mental illness, album fresco di stampa dopo cinque silenziosi anni, forse spesi a smaltire un successo vissuto perniciosamente.

2. Laura Marling, Don’t pass me by
Una vecchia chitarra elettrica piagnucola in un angolo, come se sapesse di dover finire su eBay l’indomani. La padrona la imbraccia un’ultima volta. Perfino la vecchia drum machine assorbe la disillusione nell’aria e la converte in un beat mesto. La Marling, dopo un periodo da maestrina di yoga nemmeno troppo in gamba, è tornata con l’album Semper femina e con i suoi racconti da notte fonda, senza enfasi, di sommessa malinconia. È pronta per una gara di nuoto con Aimee Mann: vince chi si sbraccia meno nella sua valle di lacrime.

3. Gabriella Lucia Grasso, Quanti voti (feat. Lidia Borda)
Due malmaritate di Catania e Buenos Aires, abbracciate in un tango lento a lume di bandoneón. La Grasso, fresca di album (Vussia cuscenza) per la giovane etichetta della compaesana Carmen Consoli, traccia continue interconnessioni tra i suoi punti cardinali al femminile, tra la Sicilia e l’Argentina; la camurria, la melodia e la gelosia. Con l’intesa tra cantantesse (la stessa Consoli, da capascuderia, qui afferra un megafono nella canzone Don Pippuzzu) non poteva che uscirne una cosa ricca di cuore e di chitarre.

Questa rubrica è stata pubblicata il 31 marzo 2017 a pagina 91 di Internazionale. Compra questo numero| Abbonati

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