29 novembre 2017 09:15

1. Bruce Sudano, Talkin’ bout a revolution
E così il vedovo di Donna Summer (un quasi settantenne di Brooklyn che ha scritto canzoni per la moglie, per Dolly Parton e per Michael Jackson) per il suo nuovo album 21st century world ripesca una delle più belle canzoni della fine del ventesimo secolo: quella che nel 1988 portò alla luce il talento di Tracy Chapman, l’unica donna nera di quel periodo più simile a Bruce Springsteen che a Donna Summer. Bruce Sudano scrive ottimi pezzi (ascoltare Bat shit crazy) e fa bene a riscoprire questo pezzo, che sembra di protesta ma è di speranza.

2. Fabrizio Cammarata, Long shadows
Canti laceranti, romantici e noir, che provengono dal cuore della notte, e da via Lampedusa (dove si trova lo studio di registrazione Indigo, epicentro della scena musicale sicula). Ombre lunghe, un cuore infranto, le rose di García Lorca e le chitarre tuareg. E il suono curato da un produttore come Dani Castelar (già al lavoro con Paolo Nutini). L’album Of shadows, cantato in inglese, offre un’esperienza d’ascolto avvolgente, che va dai Dead Can Dance a Damien Rice: una musica senza coordinate geografiche, che risuona dentro l’anima.

3. Bruce Sudano****, Postalmarket
“Vari articoli, testi, Kobane calling di Zerocalcare, le interviste e le storie delle soldatesse che in Kurdistan combattono frontalmente l’Isis”, come ispirazione base, e poi parte questa new-new wave italiana versante pop che evoca la Rettore e il Leoncavallo, Brian Eno ed Erik Satie. Nel video c’è un montaggio di cataloghi vintage di moda per il mercato iraniano, uno sciamano che balla, le grafiche alla Convertino. Un curioso, colloso mix di cose dal trio romano che con l’album Suzu si fa notare per le sue idee e il suono cupo e coinvolgente.

Questa rubrica è stata pubblicata il 24 novembre 2017 a pagina 110 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati

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