08 marzo 2018 17:19

1. Guy One, Nongre nongre, sugre sugre
Gospel ghanese con musicisti jazz dalla Germania, frutto di una collaborazione tra Berlino e Bolgatanga. Il ragazzo Guy One (di etnia frafra), cresciuto nel nord povero e rurale, si rivela un cantastorie virtuoso accompagnandosi al kolongo (un banjo a due corde). Incontra Max Weissenfeldt, batterista e produttore nel giro di Dan Auerbach (Black Keys). E va via liscio di afrofunk contadino. Basato su pochi elementi, come i flauti e sassofoni tedeschi, l’album #1 è immediato come il banjo ghanese, ma con finiture da berlina di fascia alta.

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2. Meganoidi, Accade di là
“Non ci sono lacrime per le cose stupide”. Niente rimpianti, un nuovo album, una Delirio experience per la band genovese, band di culto in attività ormai da vent’anni eppure sempre un po’ sottotraccia, almeno rispetto al nome da Ufo Robot che hanno scelto. Ma in questo disco c’è un sound forgiato dal tempo e dalla padronanza, e in una rockband è un attimo passare dalla “piena maturità” al fade out in coda. Qui forse sono sulla cresta della loro onda, in sospeso tra gli anni ruggenti del delirio e la routine di quando fai tutto solo con l’esperienza.

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3. Bacàn, Dogs (feat. Fransisca)

È un’elettronica pop nonchalant. Suona come un Moby più indolente questo Giovanni De Sanctis (ex About Wayne e Soul of the Cave) che lavora su un assortimento gentile di effetti e loop, linee di basso e analogica elettronica. Oltre a mela, zenzero, una chiave arrugginita e una pianta (come nella copertina dell’album Pronto). E con voce da tenerone, fa bene a invitare a bordo del suo vascello qualche cantante; non è una diminutio, anzi, è bene che lui si concentri su quei suoni così artigianalmente sintetici che prepara nel suo laboratorio.

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Questa rubrica è stata pubblicata il 2 marzo 2018 a pagina 92 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati

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