28 marzo 2018 18:18

1. Mélissa Laveaux, Lè ma monte chwal mwen
L’attacco di questa canzone è un incrocio tra la versione di Ciao amore ciao portata da Dalida sul palco di Sanremo e il giro di Walk on the wild side di Lou Reed. Laveux è una diva classe 1985, cresciuta a Ottawa da una famiglia di Haiti che le negò l’accesso alla parlata d’origine. Ed è proprio la sua lingua, quel creolo salvato a costo di viaggi e spiriti vudù, che dà vita all’album Radio siwei. Tra recuperi della canzone popolare haitiana di Martha Jean-Claude, un graffio alla Screamin’ Jay Hawkins, e quel tropical soulfunk che affezionarsi è un attimo.

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2. Carlot-ta, Glaciers
Un pezzo per chitarra, voce e poco altro, in una vena un po’ Laura Marling: è tra le cose più centrate in Murmure, album che vede il talento di Carlot-ta alle prese con un organo a canne. Ne escono fascinose Samba macabre, citazioni da Gyorgy Ligeti o da Virginia Woolf, marcette tra il carnascialesco e il barocco. La ventisettenne italiana canta in inglese e francese, compone esegue e arrangia tutto, con la sua fantasia e un impeto romantico. A volte dà l’impressione di volersi inserire nella scia di certe donne immaginifiche come Kate Bush e Björk.

3. Rachele Bastreghi, Le cose che pensano
Questa canzone è il manifesto dell’ultimo Lucio Battisti, quello degli “album bianchi” (da Don Giovanni alla fine) e delle liriche ermetiche e a tratti furbesche di Pasquale Panella. L’album La bellezza riunita le affida alle interpretazioni di talenti indie come Federico Fiumani e Larsen, con esiti alterni. La canzone che spicca è questa, in cui la datata base dell’originale (in pratica una base karaoke anni ottanta) diventa una musica di suspense. E la signora dei Baustelle la canta da diva delle tenebre, regalandole un sangue e un’anima nuova.

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Questa rubrica è stata pubblicata il 23 marzo 2018 a pagina 86 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati

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