23 maggio 2018 18:11

1. Akua Naru, Serena
Ode hip hop alla tennista Serena Williams, che a suo modo fa il paio con il trattato di estetica scritto da David Foster Wallace su Roger Federer. Solo che qui non si tratta di pura bellezza, ma di riscatto e affermazione femminile afro-americana. È scritta dalla rapper rivelazione del Connecticut residente a Colonia: poetessa black, lingua lunga o di velluto a seconda delle circostanze, Naru è una potenza tranquilla nel suo album The blackest joy: parole forti e beat morbidi, venati di jazz e di Africa. A tratti nella sua naturalezza ricorda Lauryn Hill.

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2. Dull Company Myself, Senility
Chinare il capo davanti a esempi come Matteo Ferrante da Cisterna di Latina, classe 1997, che milita in un gruppo di post rock rumorista chiamato Stille Dämmerung e per passione personale si dedica al progetto solista Dull Company Myself (significato: “me stesso, noiosa compagnia”). E il suo album To load the feeling of a trembling whisper suona benissimo. È un cavernoso concentrato di dark britannica anni ottanta: Cure misto Human League, con un tocco Smiths qua e là, ma credibile. Come una piccola, fiorente Haçienda di Latina.

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3. Chico Buarque, Dueto
Arriva la primavera e vien voglia di qualcosa di brasileiro: Chico è leggenda; da A banda (1966) a O qué serà (1976), se la gioca con Caetano Veloso come padre nobile della bossa in attività. Nel nuovo album Caravanas riprende un duetto del 1980, intreccia la sua voce con quella della nipotina Clara (figlia di Carlinhos Brown) e nel finale, sul gioco poetico di base (sei il mio amore e sta scritto ovunque: “nos mapas, nos lábios, nos lápis”), innestano una spunta cantata di Google Twitter Facebook Instagram Telegram Skype Tinder. I socialcosi nonno friendly.

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Questa rubrica è uscita il 18 maggio 2018 nel numero 1256 di Internazionale, a pagina 100. Compra questo numero | Abbonati

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