09 aprile 2019 17:37

1. Rammstein, Deutschland
Suona bene l’amor di patria lacerato? In mezzo al furore intorno al sovranismo, che sembra che uno si debba vergognare se ama il proprio paese, ecco una lezione di tedesco dalla band più coatta e provocatoria d’Europa. Con il video che è un apocalittico pastiche di ostrogoti, terzo reich, Ddr, Weimar e guerra dei trent’anni, la band flirta con l’über alles, raduna altre parole col prefisso “über”, da “superuomo” a “superfluo”, e le fa conflagrare: piovono contraddizioni, è un esperimento, un Viva l’Italia di Francesco De Gregori più metallaro.

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2. Giovanni Truppi, Borghesia
Nuovo campioncino della scuderia italiana appioppa colpi di martelletto – non botte cattive, più quei colpetti con cui si testano i riflessi – ad artritica rotula del patriarcato: la classe borghese, da tempo non pervenuta come obiettivo critico, forse a causa di un immiserimento generale, o dell’imborghesimento cantautorale. Non così Truppi, che con questo pezzo fa l’anello di congiunzione tra Edoardo Albinati e Bon Iver. Il risultato di tanto studio è Poesia e civiltà, giovane album all’antica che cerca spazio tra i classici. Anche a costo di suonare ex cathedra.

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3. Picciotto, Hashtag la victoria (feat. Shakalab e Roy Paci)
“Fare la storia durerà venti secondi” nell’infinita vanità di Instagram. È da un pulpito palermitano che Picciotto predica ai giovani in fissa con i social. Hasta la vanagloria! Penitenziagite! Nell’album teRAPia, serio e divertente (come gli Articolo 31 al loro apice), tanta parlantina, i lividi di Stefano Cucchi condivisi con Davide Shorty e ’O Zulù, rap neomelodici e reggae interculturale, groove e idee che (questa è la terapia) alla fine meritano di essere condivisi e/o rimbalzati più di qualsiasi “look of the day”.

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