04 settembre 2019 14:48

1. Manu Chao, Clandestino (feat. Calypso Rose)
“Solo voy con mi pena sola va mi condena”. Che indimenticabile attacco di un indimenticabile pezzo. Il disco omonimo del 1998 resta il primo album del nuovo millennio, bello sporco e sans papiers, festaiolo e desperado, di un precariato meticcio e globalizzato. Evviva dunque la riedizione, i tre inediti (tra cui il sia pure didascalico Bloody bloody border e questo remake del brano con Calypso Rose da Trinidad) e tutto quanto serva a ricordarcelo. Inutile sperare che torni a quei livelli, ma quanto è stato bello.

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2. Kully B & Gussy G, Boom shot dis
James Bond – correr es mi destino – pare stia rifacendo Basilicata coast to coast con inseguimenti tra i sassi di Matera, ma la prima musica seria collegabile ufficialmente al prossimo 007 No time to die – via un lungo teaser di riprese in Giamaica – è questo numero dancehall del 2015, che vale giusto un montaggio tra club di Kingston, birre ed esplosioni, ma si fa notare (con qualche rimpianto di chi ricorda il setting giamaica/romantico del primo Bond). È un lato piacevole del patriarcato, questa musica da machismo caraibico che libera feromoni bondiani.

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3. Alan Evans Trio, Black rider
Heavy black soul groove implacabile, quelle cose anni settanta con pantaloni a zampa, gigaocchiali da sole e un batterista sudatissimo. È un peccato che Evans, che dopo quindici anni di sudore per i Soulive oggi batte il tempo da titolare di pregevolissimo trio, si sia limitato a quest’unico pezzo cantato per il nuovo album, perché la sua musica energetica si presta subito a derive poliziottesche. Basta ascoltare strumentali eccelsi come Regeneration o Green machine per ripiombare nel mondo difficile del tenente Kojak. Ovviamente da clandestini.

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Questo articolo è uscito sul numero 1322 di Internazionale. Compra questo numero|Abbonati

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