13 novembre 2019 16:58

1. Michael Kiwanuka, I’ve been dazed
Il gospel dei tempi moderni, la musica salvifica, un novello Marvin Gaye (di origini britannico/ugandesi) che strappa il cuore con un terzo album (Kiwanuka) che a molti sembra la cosa più bella dall’invenzione delle michette appena sfornate. E in effetti c’è questa elusiva qualità nelle sue composizioni: il calore nel timbro della voce, graffiante ma speranzoso, nei suoi stilemi gospel, nell’assicurare che il tempo è un guaritore, nella chitarra con il fuzz rétro, in questo senso del produttore Danger Mouse per il beat acchiappone. Roba buona.

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2. L’enciclopedia dei limiti, L’eleganza dell’amaro
Canta imbracciando la chitarra avuta in regalo a otto anni dal papà: Alessio Falsone viene da Palermo, esce da un tunnel anglofono, da band chiamate Injustice e Keep the Faith, dall’ep Positive lifestyle, e da singoli che s’intitolano Not a wall but a bridge (e finiscono negli spot della Panda Cross). Poi ci s’immagina Alessio che si risveglia e abbraccia la lingua italiana. E scrive il suo album solista godendosi ogni sillaba e il paradosso del raccontare storie introverse, e forse anche quel nome d’arte che pare un titolo.

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3. Momo, Diz a verdade
Suona un po’ come Desafinado, pure con quelle lievi stonature ad arte della bossa, ma Marcelo Frota alias Momo è un brasileiro dei tempi moderni: vive a Lisbona e registra a Los Angeles. Nel suo album I was told to be quiet canta in francese e in inglese. Inutile tentare di spacciarlo per solare: scivola sull’arcobaleno della psichedelia, scuola Os Mutantes, ma pesca nel blu malinconico, e lo fa con una certa voluttà, che sconfina quasi nella goduria quando celebra i giorni di novembre. Come si fa ad affrontare l’autunno senza qualcosa di brasiliano?

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Questo articolo è uscito sul numero 1332 di Internazionale. Compra questo numero|Abbonati

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